Maria Antonietta Avanzo
6 minuti per la letturaForse il giorno che offrì le tuberose in pasto a Cheli e questa ne morì per l’indigestione o probabilmente per la difficoltà di metabolizzarle, la “baronessa” Avanzo salì velocemente in macchina e sprintò via dalla casa di Gabriele D’Annunzio con il quale “corrispondeva” e si vuole che sia stata una delle poche donne a non cedergli né concedersi.
Cheli era la tartaruga preferita dal Vate: gliene aveva fatto omaggio la marchesa Luisa Casati, l’estrosa nobildonna che passeggiava nuda sotto la pelliccia, con i pavoni al guinzaglio e un servitore con torcia vicino perché la illuminasse nelle notti nelle calli di Venezia dove era andata a vivere a Palazzo Venier che oggi è il Museo Guggenheim. Il Vate ne ordinò una scultura che partisse dal carapace di Cheli, (lo scultore e incisore Renato Brozzi, divenuto anche orafo personale del poeta, ne fece nel 1928 una tartaruga gigantesca che fu chiamata la “Meravigliosa Cheli”), la mise al posto d’onore in una sala da pranzo che chiamò la “sala della Cheli”, forse un monito subliminale a se stesso e agli ospiti che non peccassero d’ingordigia. Ne fece riprodurre anche piccoli ninnoli, uno dei quali donò al pilota Tazio Nuvolari, accompagnato da un biglietto autografo sul quale aveva vergato “all’uomo più veloce del mondo, l’animale più lento del mondo”.
La “Baronessa” tale non era per discendenza ma così veniva chiamata per l’eleganza nel vestire (pure al volante delle sue auto da competizione indossava cappelli a larga tesa) e per la ricchezza che le era venuta dal patrimonio terriero dei genitori, i Bellan di Contarina, come si chiamava a quei tempi d’inizio Novecento il territorio che oggi è il comune di Porto Viro nel Polesine, cioè sul delta del Po, cui aveva aggiunto quella di un altro proprietario terriero nel delta, Eustachio Avanzo, sposandolo.
Se le mancava il titolo, non le mancavano, però, né l’ardimento che probabilmente affascinò D’Annunzio che la definì “Nerissima Nerissa, corritrice demoniaca”, né la velocità: Maria Antonietta, era questo il suo nome regale ma di una regalità piuttosto negativa e sfortunata, correva in automobile. Il che, a inizio Novecento, era del tutto inusuale per una donna (lo è ancora a inizio Duemila) e le donò un’aura femminista in tempi pionieristici dell’uguaglianza. Le donò anche la possibilità di filarsela a tutta velocità quando combinò il guaio delle tuberose e della tartaruga.
Guai ne aveva già combinati: a 13 anni si era infilata nel garage di famiglia, s’era messa al volante dell’auto di papà, un triciclo a motore di fabbricazione francese, un De Dion-Bouton, era uscita e, ancora maldestra alla guida, aveva investito il sindaco di Contarina, fortunatamente illeso.
Il ricco papà sistemò la faccenda e incoraggiò la passione motoristica della ragazza che, nel 1928, corse la Mille Miglia, la gara automobilistica su strada che era alla sua seconda edizione e che proponeva ai concorrenti un itinerario di 1600 chilometri circa, mille miglia appunto, che prevedeva la partenza e l’arrivo a Brescia e la discesa e risalita per l’Italia con vertice meridionale a Roma.
Maria Antonietta Avanzo era la prima donna a parteciparvi: lo fece su di una Chrysler 72, avendo come copilota Manuel de Teffè, barone brasiliano di grandi parentele e spirito artistico (il padre ambasciatore aveva in casa un Rembrandt, la zia, prima donna caricaturista al mondo, era anche divenuta First Lady a Rio che era allora capitale del Brasile). La “baronessa” e il barone non ebbero molta fortuna in gara: a Perugia la Chrysler li abbandonò e furono costretti al ritiro, il che mandò su tutte le furie Maria Antonietta perché nei resoconti stampa della corsa non era neppure citata.
Con la Mille Miglia, del resto, la pilota italiana non ebbe mai molto feeling: vi partecipò ancora nel 1929 su di una Alfa Romeo con Carlo Bruno, nel 1931 su di una Bugatti con Carlo Castelbarco e, per la quarta e ultima volta ancora su di un’Alfa Romeo, vettura ufficiale della Scuderia Ferrari, in coppia con Francesco Severi. Non ultimò mai le previste mille miglia, sempre costretta al ritiro. Era stata anche invitata a partecipare ai test pre-gara per la 500 miglia di Indianapolis: andò, ma non trovandosi bene con le macchine americane, non riuscì a qualificarsi e svanì così un’altra “prima volta” al femminile, che poi avvenne, con Janet Guithrie, nel 1977: ai box non trovò servizi igienici femminili!
Erano, questi delle Mille Miglia di Maria Antonietta Avanzo, anni d’una seconda carriera automobilistica della “Baronessa”, che a metà degli Anni Venti aveva preso i suoi due figli e, abbandonato Eustachio, era andata a vivere in Australia, portando scompiglio nella “buona società” di Sydney. Era una pilota conosciuta: nel 1919, trentenne, aveva partecipato con una vettura Spa, dono coniugale, a un Giro del Lazio, vincitrice della propria classe e terza assoluta; nel 1920 fu anche la prima donna al volante nella Targa Florio su di una Buick: l’aveva preceduta nella presenza nella corsa siciliana la francese Madame Le Blon (1906) che però era stata in gara solo come navigatore e meccanico del marito pilota che si era classificato sesto.
In quell’anno la Avanzo partecipò, con una Packard, a un chilometro lanciato in Danimarca, sull’isola di Fano: vinse la prima manche, ma durante la seconda la vettura prese fuoco; Maria Antonietta condusse la vettura a mare, spense il fuoco e si salvò a nuoto, il che piacque molto a Enzo Ferrari. Un buon piazzamento (terza) fu ottenuto dalla Avanzo in un circuito sul Garda, dove seguì da vicino al terzo posto il secondo arrivato, che era proprio Tazio Nuvolari.
Dopo le Mille Miglia di fine Anni Ruggenti, la “Baronessa” rallentò l’attività di pilota, pure se, cinquantenne, nel 1939 prese parte a una Tobruk-Tripoli, gara che era stata organizzata nella colonia italiana a fini propagandistici ed anche per sostituire la Mille Miglia sospesa dall’anno prima per un incidente avvenuto a Bologna, con una vettura finita sul pubblico, 10 morti e 23 feriti, tra le vittime 7 bambini. In Libia la Avanzo si classificò sesta.
Scoppiò la guerra e Maria Antonietta Avanzo si arruolò come crocerossina e prese il volante di ambulanze e camion. La passione per il volante non la abbandonò mai: nel 1956, a 67 anni, salì da sola in macchina ed andò al confine fra l’Austria e l’Ungheria per aiutare nell’accoglienza dei magiari che fuggivano davanti all’invasione dei blindati dell’Armata Rossa. Una piccola cosa per lei, che aveva ospitato in casa perseguitati ebrei durante la guerra ed aveva preso parte alla liberazione di Luchino Visconti quando il conte regista era stato catturato dalla banda Koch. Del resto con il cinema aveva ottimi rapporti: Roberto Rossellini era figlio di sua sorella Elettra e Maria Antonietta Avanzo lavorò con lui organizzando la produzione di “Stromboli”, il film che il regista girò con Ingrid Bergman subito dopo lo “scandalo”, mentre sull’isola di fronte Anna Magnani, la compagna abbandonata da Rossellini per l’attrice svedese, girava un suo film intitolato “Vulcano” ed a chi le chiedeva un commento sull’amore dirimpettaio rispondeva “Stro…mboli”, frenando vistosamente la voce dopo la “o”.
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