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Federica Pellegrini

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UNA delle tante lezioni politiche che viene dai Giochi di Tokyo è la seguente: urge procurarsi un mental coach. Magari si può fare a meno (e talvolta è anche meglio farlo) di un portavoce, oppure si può trascurare “la bestia” che rende virale ogni fesseria divulgata a mezzo social e il web, che pure sembra durare lo spazio di un mattino,  in realtà ha la memoria di un elefante e di una moglie (“quella volta hai postato che”, ! quella volta hai detto che” è il rinfaccio perenne).

Ma quello di cui non ci si può mai più privare è un mental coach: in un paio di giorni rimetti a posto i tuoi demoni, come li ha chiamati la ginnasta Simone Biles e puoi tornare in gara. Il politico può ricandidarsi per le elezioni, tanto ce n’è a urna continua.

La faccenda è maledettamente seria e non si può liquidare con una battuta sulla psicanalisi, di quelle alla Ennio Flaiano (“la psicanalisi è una pseudo-scienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi da cattolici”), o alla Marcello Marchesi (“meglio dalla psicanalista che dal confessore: per quest’ultimo è sempre colpa tua, per il primo è di qualcun altro”).

Il mental coach è ormai una figura indispensabile per uno sportivo militante e più sei campione più ti necessita. La Divina, Federica Pellegrini, appena eletta tra gli atleti partecipi del potere del Comitato Internazionale Olimpico, ha  detto che un suo impegno sarà sottolineare l’importanza del mental coaching. Il mental coach s’affianca già, seppure on dad o via zoom o skype al tempo del virus, al preparatore atletico, al nutrizionista, al videoanalyst, al fisioterapista, al social manager, e via con altre analisi e altri maneggi.

Tempi moderni, né migliori né peggiori di quelli andati: a Fausto Coppi, per dire, bastava Biagio Cavanna, il non vedente cui il Campionissimo affidava pene di muscoli e d’amore, e ne riceveva consolanti “consigli della nonna” e pari unguenti. Il mental coach ha poi, di bello, che non ti fa sentire “paziente” come può capitare con lo psicanalista: sei “cliente”.

La differenza non è da poco. Non ti toglie il peggio, ti esalta il meglio. O così pare, almeno a spanne, pure se con gli affari dell’anima non si può andare avanti a spanne, né con la salute mentale, se non sei Harry e Meghan. L’argomento è spinoso per i politici: in America, ad esempio, pare che il mental coach di Bill Clinton e quello di Donald Trump fosse lo stesso. Diversi i risultati…

Ma del resto è forse proprio questo il compito: il rispetto dell’unicità di ogni essere umano aiutandolo a realizzarsi per quel che è, al suo meglio. Già questo sarebbe un buon risultato: non è che tanti politici rendano al meglio. O almeno: speriamo che sia così… Sempre a proposito di lezioni di sport alla politica: dopo questi due giorni di Olimpiadi giapponesi, non diciamo più che “l’importante è fare squadra”.  

Magari se hai un Filippo Ganna che trascina un quartetto (che non è squadra, ma ibrido fra l’individuo e il gruppo) puoi pensarlo; però le due pallavolo, la pallanuoto e il basket freschi di eliminazione pensando a Jacobs e Tamberi, a Vanessa Ferrari e Paltrinieri, fanno sospettare che meglio soli… Soli, magari, con il mental coach.


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