Costante Girardengo
5 minuti per la letturaUNA MATTINA dell’estate del 1908 sulla piazza del mercato a Novi Ligure (che non è in Liguria ma in Piemonte e che per non perdere la regione d’origine aveva aggiunto al nome di Novi l’identificativo geografico dopo essere passato di regione nel 1860) un maratoneta baffuto sfidava i ragazzotti ciclisti del Paese: “Due lire a chi di voi riesce a fare due giri della piazza in bicicletta e arriva prima di me che ne farò uno soltanto” diceva.
Lo guardavano con curiosità: quel maratoneta era una celebrità del momento; si chiamava Dorando Pietri, era stato squalificato nella Maratona olimpica di Londra 1908 perché negli ultimi metri, stremato, era stato sorretto da un giudice di gara. Aveva tagliato il traguardo per primo, ma la giuria era stata inflessibile.
Ora Dorando girava per le piazze d’Italia proponendo di quelle sfide per sbarcare il lunario: non c’era ancora la televisione né dunque l’”ospitata” del campione. Tra i ragazzi di Novi uno aveva 15 anni; era piuttosto mingherlino, teneva per il manubrio la sua bici scassata. Ci pensò un po’, e alla fine accettò il confronto. Fu l’unico, fra i novesi, a vincere sul maratoneta. Questo ciclista si chiamava Costantino. Costantino Girardengo. Poi, quando divenne celebre, lo chiamarono tutti semplicemente Costante oppure Gira. Un cronista immaginifico, date le piccole dimensioni del Gira, che era alto un metro e 65, lo chiamò “l’omino di Novi”. Il direttore della Gazzetta dello Sport, la rosea di quei tempi, coniò il superlativo di campione e lo ribattezzò “campionissimo”, epiteto che poi sarebbe stato riservato soltanto a Fausto Coppi e nessuno ricordò più che già ce n’era stato un altro, Costante Girardengo appunto.
Il Gira vinse nove titoli italiani consecutivi, sei Milano-Sanremo, che solo Eddy Merckx riuscì a vincerne una in più e per un cavillo. Perché in realtà Girardengo una settima la aveva vinta, ma, per le strade di Sanremo, sbagliò strada e risultò che avesse preso una scorciatoia che lo aveva fatto pedalare per 160 metri meno del percorso previsto. Aveva vinto con cinque minuti di distacco, ma questo particolare non convinse i giudici che molto sapevano (e sanno) di regole e regolamenti, ma poco di buon senso.
Le sei Sanremo e due Giri d’Italia, un po’ di giri di Lombardia (anche quello del 1917 che per la prima volta comprendeva la scalata del Ghisallo che poi divenne un vero e proprio santuario del ciclismo: c’è anche una madonnina su per la salita a proteggere i pedalatori) e la più lunga tappa di sempre in un Giro d’Italia, la Lucca-Roma, 430 chilometri, anno 1914, fanno parte delle oltre 1000 vittorie (131 su strada e 965 su pista) che costituiscono il bottino totale del primo campionissimo che fu professionista dal 1912 al 1936 e fu anche il primo cittì della Nazionale italiana che guidò alla vittoria nel Tour de France 1938 con Gino Bartali. Aveva percorso pedalando, dicono i contabili del chilometraggio, 536 mila chilometri di strada o pista.
E anche metri di pellicola: era stato, infatti, fra gli interpreti del film “Sansone e la ladra di atleti” del 1919, che faceva parte di una saga (oggi si direbbe di una serie) dedicata a un Sansone dei tempi moderni, interpretato dal culturista-acrobata Luciano Albertini e che comprendeva anche un “Sansone contro i Filistei”, un “Sansone muto”, un “I figli di Sansonia”, un “Sansone burlone”, e via sansoneggiando, come “Star Wars” o il “Trono di Spade” dei giorni nostri, ma di impatto minore…
I francesi, che “s’incazzano” per Bartali secondo un conosciuto verso di Paolo Conte, “e le palle ancor gli girano”, già “s’incazzavano” anche per Girardengo, negandone le qualità di campione perché non andava a confrontarsi con loro sulle loro strade. Henri Desgrange, l’inventore del Tour, disse che l’italiano nulla avrebbe potuto, correndo in Francia, contro i fratelli Pellissier, altro che sostenere come si faceva nel Belpaese, che l’omino di Novi era il numero uno al mondo. Semmai, diceva il patron, gli italiani un campione lo hanno per il futuro ed è Bottecchia.
Costante lo seppe, prese carta e penna e scrisse una lettera aperta a Monsieur Desgrange: “Invito tutti i corridori del mondo a incontrarsi con me in una corsa a cronometro di 300 chilometri sul percorso, ad esempio,della Milano-Sanremo. Se si considera che le strade italiane mi sono favorevoli, io accetto un percorso su strade straniere dai 300 ai 600 chilometri anche sulle strade del tipo Galibier e Izoard. Posta per ciascun incontro di lire 50.000. Epoca dell’incontro a scelta degli avversari. Da oggi io sono pronto. Firmato: Costante Girardengo”. Non fu pronto nessuno.
Il Campionissimo ebbe parecchi episodi da prima pagina nel corso della sua lunga carriera (vinse la prima gara a 19 anni e l’ultima a 43): quando vinse il primo titolo italiano, ebbe in premio… 15 giorni di cella di rigore e 30 di prigione semplice. Era militare, non ebbe la licenza per partecipare ma andò lo stesso. Al ritorno in caserma lo punirono.
Sfidò di tutto, non solo Dorando Pietri. Sfidò Ganna e Gerbi, Belloni e Brunero, e poi Binda, tre generazioni di campioni con i pedali; vinse la febbre spagnola, l’epidemia che decimò il mondo dopo la Grande Guerra, e Tazio Nuvolari in una gara di tiro al piattello; perse e vinse contro Gioiello, un cavallo trottatore che affrontò in una gara spettacolo all’Arenaccia di Napoli.
Fu “amico” di un bandito dell’epoca, Sante Pollastri, novese e un po’ più grande di lui, un bandito che tale era diventato, si dice, per reazione: un carabiniere gli aveva stuprato una sorella? Dei fascisti lo avevano picchiato perché per strada aveva sputato una caramella al rabarbaro ritenuta troppo amara e quelli lo avevano preso per uno sfregio al regime?
Fatto sta che Pollastri s’era dato alla macchia, alle rapine, all’anarchia in quegli Anni Venti del secolo scorso. Era riuscito a scappare in Francia ed era a Parigi quando Girardengo era lì per una gara su pista. Dagli spalti Costante e Biagio Cavanna, il suo scopritore che poi scoprì anche Coppi, sentirono un “cifulò”, che era il tipico fischio con il quale i novesi in terra straniera si riconoscevano. Cavanna, che ancora non era cieco, avvicinò lo spettatore: era il bandito ritenuto morto in uno scontro a fuoco; voleva parlare con Costante e li portò insieme a cena. Il bandito lasciò qualche messaggio al campione di cose che voleva si sapessero. Girardengo lo fece. Poi Pollastri fu arrestato, condannato all’ergastolo, graziato. Francesco De Gregori ne ha cantato la poesia.
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