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Lutz Eigendorf, illustrazione di Roberto Melis

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Un’auto era ferma sul ciglio della st­rada che unisce Braunschweig e Querum, dalle parti di Brunswick, in Sassonia, Germania Ovest a quei tempi. Era la sera del 5 marzo 1983, verso le undici. L’auto era probabilmente appostata su di una curva a gomito, una curva della morte. In posizione tale che l’uomo al volante avrebbe potuto accendere d’improvviso i fari, gli abbaglianti, ed avrebbe così accecato l’uomo al volante che venisse in direzione contraria facendogli perdere il controllo della sua vettura e portandolo a schiantarsi su uno degli alberi che accompagnavano il disegno della strada. “Abbagliare”: il meccanismo e la parola sono scritti in uno dei rapporti della Stasi, la polizia segreta della Germania Est, a quei tempi: è il “metodo lampo” inventato per eliminare un “nemico del popolo”. Un omicidio che potesse passare per un incidente d’auto. È questa la tesi sostenuta da Herbert Schwan, giornalista d’inchiesta, che sul fatto avvenuto quella sera ha anche diretto un documentario, intitolato “Morte di un traditore”.

Il “traditore”, che guidava la sua Alfetta GTV, l’auto che veniva a mano contraria, si chiamava Lutz Eigendorf; era un calciatore di 26 anni, era stato il “Beckenbauer dell’Est”, come lo avevano chiamato gli appassionati del pallone, incantati dallo stile elegante di quel centrocampista nato a Brandeburgo sulla Havel, la città che dà il nome alla celebre Porta di Brandeburgo, simbolo di Berlino. A 14 anni Lutz era stato “arruolato” dalla Dinamo Berlino, la squadra della Stasi, e di Erich Mielke, il capo di quei servizi segreti che invadevano ogni luogo e ogni vita nella Ddr. A 18 anni Eigendorf esordì in prima squadra, a 22 in nazionale. L’anno che la Dinamo Berlino cominciò a vincere scudetti, la stagione ’78-79, e ne avrebbe vinti dieci consecutivi, Lutz era dei loro. Il metodo era dei più semplici e collaudati: arruolare i migliori calciatori del Paese, che non avevano possibilità di rifiutare il trasferimento, e designare per la direzione delle partite gli arbitri più “sensibili”, per non dire compiacenti.

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Il 19 marzo 1979 la Dinamo Berlino era a Kaiserslautern, nella Germania Ovest, per disputare un’amichevole: la prima di una squadra dell’Est in Occidente. Perse 4 a 1. Lutz Eigendorf aveva giocato un mese prima, l’11 febbraio, quella che sarebbe stata la sua ultima partita in nazionale: a Baghdad, contro l’Iraq, vittoria per 2 a 1.

La sera dopo la partita di Kaiserslautern Lutz non riusciva a dormire: si alzò dal letto della sua camera all’Hotel Savoy e scese nella hall e poi nel bar per bere qualcosa. Il suo compagno di birre fu un uomo che si presentò come l’accompagnatore degli arbitri per conto del Kaiserslautern. Conversarono, bevvero. Quando Lutz si alzò dallo sgabello, l’uomo gli dette il suo biglietto da visita.

La mattina dopo Eigendorf, i suoi compagni di squadra e lo staff, salirono silenziosi sul pullman della Dinamo che li avrebbe riportati a Berlino Est. Il bus si fermò a una stazione di servizio dalle parti di Giessen, nell’Assia, territorio dell’Ovest, che era anche sede stanziale di soldati americani. La stazione di servizio non distribuiva soltanto carburante e cose da macchina. C’erano un bar e un supermercato. Quelli della Dinamo avrebbero potuto prendersi qualcosa da bere, una birra o un caffellatte secondo i gusti, e anche spendere un po’ di quei marchi che avevano intascato e che all’Est non sarebbero serviti. Jeans, dischi, qualche regaletto per parenti ed amici la mercanzia preferita. Il bar e il negozio erano già in pieno andirivieni. Lutz scese dal bus con i compagni. Approfittò della confusione, forse sgomitò in mezzo ai clienti che entravano e uscivano dal bar, vide un taxi libero, vi salì, si sdraiò sul sedile posteriore e consegnò all’autista il biglietto da visita che aveva ricevuto la sera prima: era il solo aggancio che aveva a Ovest. Aveva scelto la libertà, per dirla all’occidentale; aveva tradito, per dirla all’orientale. Aveva tradito il suo Paese, la sua squadra, i suoi compagni e, soprattutto, la Stasi ed Erich Mielke: avrebbe dovuto pagarla. Aveva lasciato nella Ddr la sua compagna Gabriele e la loro figlia Sandy.

Scattarono immediatamente la contromisure. Il Kaiserslautern si offrì di “comprarlo” ma la Dinamo negò l’autorizzazione. Eigendorf fu squalificato per un anno per non aver rispettato il proprio contratto: non poteva giocare da nessuna parte. Gabriele divenne l’oggetto dell’”Operazione Rose” che prevedeva l’impiego degli “agenti Romeo”. Erano reclutati speciali che avevano l’arma della seduzione. E del successivo ricatto sessuale. Gabriele cadde nella rete dell’agente Peter: lo sposò anche e questi adottò Sandy.

Scontata la squalifica, Eigendorf giocò per il Kaiserslautern. Ma non riuscì a crescere, fra infortuni e involuzione tecnica, nel “Beckenbauer” che era stato annunciato. Due stagioni dopo era passato all’Eintracht Braunschweig, che non era il massimo. Lì aveva ritrovato un amico dei vecchi tempi della Ddr, Karl Heinz Felgner ex pugile, campione dei pesi leggeri e dei pesi piuma nella Ddr. “Ho avuto il permesso di espatrio perché persona non gradita al regime” gli confessò subito Felgner. Lutz ci credette. Iniziarono a frequentarsi di continuo. Felgner annotava diligente che marca di cioccolato preferisse Lutz, quante confezioni di preservativi comprasse, che latte bevesse e quanti caffè consumasse ogni giorno. Erano l’oggetto dei suoi rapporti dettagliati: era un agente della Stasi, anche uno di quei “Romeo” che avevano tentato, senza fortuna, Gabriele. Tornerà nella storia di Lutz. “Avrei dovuto uccidere io Eigendorf” disse durante un processo nel quale era accusato di rapina nel 2004. “Ma non l’ho fatto”.

Lo fece qualcun altro? Eigendord il 5 marzo 1983 era stato in panchina nel match contro il Bochum, perso 2 a 0. Uscì dallo stadio, prese l’Alfetta, si fermò al “Cockpit” a bere un paio di birre. Erano le undici. Salì in macchina. Si avviò verso quella curva. Trentaquattro ore dopo era morto per le ferite riportate schiantandosi contro un albero. Il suo tasso alcolemico nel rapporto della polizia, era di 0,22. Avrebbe dovuto bere tre litri e mezzo di birra. Il caso fu archiviato come “guida in stato di ubriachezza”. Dell’auto misteriosa sul ciglio della strada nessuna traccia. Dell’incidente nessuna nota nei rapporti della Stasi resi pubblici dopo la caduta del Muro. Quelli fra il 1980 e il 1983 erano scomparsi dagli archivi.


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Fabio Grandinetti

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