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Siamo in pieno “momento Pappagone”. Gaetano Pappagone, chi era costui? Un personaggio di fine anni Sessanta che ebbe fama e gloria nella multimedialità dell’epoca, fatta di radio, fumetti, televisione, varietà del sabato sera, quello di “Canzonissima” e di Mina, “Minona”, “sei ‘na fagottata de robba” come le diceva Alberto Sordi, sketch ancora da botto su Youtube.
Lo inventò Peppino De Filippo e gli dette il nome di certe prugne napoletane che conosceva lui. Gli dette anche un copione da frasi storiche, una delle quali divenne un autentico tormentone: “Siamo vincoli o sparpagliati?”-
Beh, ecco di nuovo il “momento Pappagone”: siamo sparpagliati, questa è la risposta al quesito, un partenopeo “essere o non essere”. Siamo sparpagliati in tutto, nel calcio e non solo. Basta prestare orecchio a qualche frase, leggere qualche ordinanza, dall’Alpi a Lampedusa (le Piramidi manzoniane e napoleoniche non sono affare nostro), e riecco l’Italia dei campanili, e dunque delle parrocchiette dai tanti compagnucci riproporsi implacabile, quasi a mettersi a misura di virus: particelle infinitesimali che procedono in ordine sparso.
BABELE CALCISTICA
Il calcio, dunque. Il ministro riformatore Spadafora si dice preoccupato ma convinto, in stile Badoglio, che la guerra continua e il campionato pure. Qua è là un tampone d’un certo tipo certifica la positività di un giocatore o di uno dello staff, in qualche caso, quello del Genoa, si arriva a 14.
Il calcio è tamponato di continuo e si perde nei meandri del sintomatico, paucisintomatico, asintomatico, che non sai più da che parte andare, e alla fine ciascuno va dove vuole. Come la scuola, come i Comuni, come le Regioni, come i ministri, come i partiti, come i comitati di esperti, come gli esperti sciolti.
A quanti positivi si deve arrivare per considerare che una squadra non possa scendere in campo? L’Europa non ce lo chiede ma ha stabilito il numero di 13 per sospendere gli incontri di coppa, altrimenti arrangiatevi e fate giocare i primavera, i giovani che, come dice la scienza, hanno qualche immunità in più. Ma se i primavera si allenano nello stesso centro sportivo dei grandi?
A Genova ci si regola in un modo, a Napoli forse in un altro, tanto per nominare le due città coinvolte nell’ultima (per ora) invasione di Covid. Volevano ridurre tutti i numeri di tamponi, ora chissà.
Volevano riaprire gli stadi: lo sbarco dei 1000 ovunque non andava bene, si chiedeva la percentuale, un’altra balcanizzazione dei regolamenti. Chi ce l’ha più grande, lo stadio, può soddisfare un maggior numero di tifosi.
REGOLE CERTE? CHIEDETE TROPPO
Naturalmente poi ciascuno si sarebbe regolato a piacere per la distribuzione degli stessi 1000 biglietti disponibili. I più hanno scelto di accontentare gli sponsor, perché già hanno preso il fugone e bisogna trattenerli con qualche lusinga.
A Cremona hanno visto che i 1000 tifosi tifano: e dunque inni e canti, con conseguente tsunami di sputazzi, elegantemente chiamati droplet o goccioline. E, oltre a tifare, si mettono vicini vicini come comanda l’orgasmo, anche quello del gol o del quasi gol. E hanno detto: no grazie. Non stanno a menare il torrone, prodotto tipico di quelle parti.
Sembra la storia della movida: sui Navigli sì, a Ponte Milvio no; sul mare di Mondello il drone e la pattuglia catturano il bagnante solitario, al Billionaire si suda, balla e sbevazza. E volevate che il calcio, che spesso viene definito “la metafora della società civile” (e dunque anche di quella incivile) non ne prendesse vizi e virtù?
I calciatori e gli uomini (e donne) dello staff, poi, hanno fuori dal campo la vita di tutti: figli che vanno a scuola, grandi che vanno a fare la spesa. Contatti di difficile tracciamento, a priori e a posteriori. Una prima traccia sarebbe quella di fissare regole semplici e certe, valide per tutti. Ma chiederlo al calcio, a questo calcio, è forse troppo. Anche perché è certamente troppo chiederlo a chi governa tutto il resto, gli sparpagliati Pappagoni della stanza dei bottoni. Nel calcio e altrove l’autonomia ha delle Regioni che la ragione non riesce a comprendere.
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