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Amadeus e Roberto Saviano sul palco dell'Ariston

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SANREMO – Con un monologo di otto minuti dedicato ai due giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, lo scrittore Roberto Saviano ha raccontato “il sacrificio di due uomini che hanno cambiato radicalmente non solo le modalità del contrasto alle organizzazioni criminali, ma anche la loro narrazione.

Mentre Amadeus ricorda i nomi dei giudici, della moglie di Falcone, Francesca Morvillo e degli agenti di scorta morti nei due attentati il pubblico del teatro Aristo è tutto in piedi per omaggiare con fragorosi applausi la memoria la memoria di questi due straordinari magistrati eroi, che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro la mafia.

«Sono passati trent’anni dagli attentati ai giudici Falcone e Borsellino – ha esordito lo scrittore partenopeo –. Siamo qui a ricordare, che vuole dire rimettere nel cuore perché per gli antichi era il cuore la sete nella memoria. Ricordare Falcone e Borsellino significa rimetterli in vita».

«Molti di noi ancora non c’erano quanto sono stati uccisi eppure la loro storia è parte della storia collettiva. Per molti sono il simbolo del coraggio. Il coraggio è una scelta. Il non scegliere non significa rimanere neutrali ma significa rendere complici chi vi si rifugia».

«A scegliere di costituire il pool antimafia era stato Rocco Chinnici, ucciso dalla mafia. Il giudice che si occupò del processo dell’omicidio di Chinnici fu ammazzato. Sono solo alcuni dei numerosi uomini di giustizia uccisi dalle mafie. Prima delle stragi di Capaci e Via d’Amelio c’era sempre stato silenzio. Il miglior alleato del silenzio è la delegittimazione. Falcone e i colleghi del pool venivano esibiti di spettacolarizzare i processi antimafia. Non c’erano i social, ma c’erano già gli hater, gli odiatori. Non essendo alla loro altezza si preferiva affossarli per creare diffidenza per chi era dalla loro parte. E questo la mafia lo sapeva».

«La loro azione ha portato a capire che era possibile tramite il diritto fare scelte coraggiose e avere una vita diversa. Rita Atria era una ragazza di 17 anni nel 1992, che aveva denunciato quello che sapeva della mafia che le aveva ucciso il padre e il fratello diventando la più giovane testimone di giustizia d’Italia. Ad accompagnarla in quel percorso c’era Paolo Borsellino. Per Rita, Borsellino era guida. Sette giorni dopo la strage di via D’Amelio, Rita si tolse la vita. Rita era stata una ragazza piena di energia e la sua testimonianza descriveva dall’interno ciò che i magistrati potevano vedere solo da al di fuori».

«Il coraggio dei testimoni di giustizia è il coraggio di chi sa che scegliendo di denunciare sa che rovinerà la sua vita e quella di chi gli sta accanto. Ogni volta che noi non denunciamo, rinunciamo alla nostra dignità. Il silenzio finisce per favorire le mafie. Credevano di seppellirti, ma quello che hanno fatto è seppellire un seme. Hanno creduto di seppellire Rita Atria o Paolo Borsellino, ma loro erano semi. Poche settimane prima di morire, Rita aveva sostenuto un tema dedicato al giudice Falcone».

«Con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre. L’unico sistema di eliminare tale piaga è convincere i ragazzi che fuori c’è un altro mondo. Forse, un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Se ognuno di noi prova a cambiare – la chiosa finale di Roberto Saviano – forse, ce la faremo».


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