Iggy Pop durante un concerto
2 minuti per la letturaIL RIFF ossessivo e rutilante di “No Fun” lo avrete sentito centinaia di volte, muovendovi come tarantolati al suo ritmo pur senza ricondurlo a lui. E l’incedere di “Lust for life”, quel crescendo di rock’n’roll selvaggio e malato che avete orecchiato in qualche film – Trainspotting, fra i tanti a cui ha fatto da colonna sonora – è proprio quella forza misteriosa che, chissà quante volte, vi ha sollevato dalla poltroncina del cinema, anche contro la vostra volontà, spingendovi a ballare davanti a una platea attonita.
Questo per dire che, pure se non lo conoscete, James Newell Osterberg jr, per gli amici Iggy Pop, fa comunque parte di voi. Ed oggi dei nuovi fans che lo incontrano per il disco con i Maneskin “Non potete sfuggirgli” (LEGGI LA NOTIZIA). Nessuno può. Parliamo di una delle icone di quel rock intramontabile che gracchierà nelle cuffie dei nostri pronipoti anche fra cent’anni, divenuto celebre anche per una presenza scenica nel segno degli eccessi – tuffarsi a volo d’angelo sul pubblico, vomitare sul palco o rotolarsi sui vetri – che in seguito ispirerà numerosi eroi del punk, dell’heavy metal e di altri generi musicali dei quali Iggy – Iguana, dal nome della sua prima banda e un richiamo alla sinuosità dei suoi movimenti – è considerato caposcuola.
Fatto sta che se dalla vostra discoteca personale mancano i primi due dischi della sua carriera, quando si esibiva con gli “Stooges” (il primo omonimo del 1969 e Fun house dell’anno successivo), se i suoi lavori da solista come il già citato Lust for life (1976) e e The idiot (1977) sono a voi sconosciuti, allora è necessario correre subito ai ripari.
Iggy Pop, infatti, incarna il rock’n’roll nella sua essenza più famigerata, ma ne è anche la luce che brilla in fondo all’oscurità. Già all’inizio dei Settanta la sua dipendenza da eroina ne fa – insieme a Lou Reed – un candidato a morte sicura, il prossimo dopo Hendrix, Joplin e soprattutto Jim Morrison, il suo idolo, del quale avrebbe dovuto prendere il posto nei Doors. “Questo fa la stessa fine di Jim” pensano gli altri componenti del gruppo. E rinunciano a ingaggiarlo.
Sprofonda nella tossicodipendenza e deve la propria salvezza all’amico David Bowie che lo aiuta a disintossicarsi, lo fa collaborare con lui, produce i suoi lavori successivi, quelli che dopo quattro anni di limbo lo faranno diventare una star di fama planetaria.
Oggi Iggy è un distinto signore ancora “avido di vita”, con un fisico bestiale e pronto “a fare un altro spogliarello”. A 74 anni canta questa roba con la stessa credibilità di quando ne aveva venti, perché sarà pur vero che il rock è morto, ma anche gli scettici, davanti alla parabola di Iggy the stooge, convengono che una resurrezione è possibile.
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