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NUOVE regole per i talk show della Rai. Le prevede una proposta di risoluzione presentata dal presidente della commissione di Vigilanza, Marcello Barachini. Il genere è entrato in crisi di identità e di ascolti. La sua progressiva trasformazione ha inciso sulla sua perdita di credibilità. All’inizio c’era Samarcanda e al centro c’era “la piazza”, ovvero la gente comune, non certo gli attuali professionisti delle ospitate nei talk show. In seguito è arrivata la progressiva trasformazione del pubblico in una sorta di curva dello stadio. Il Talk è diventato sempre più “gridato”, spesso dallo stesso conduttore, a volte da uno degli ospiti.
Ora interviene la commissione di Vigilanza. Va premesso che una proposta non è ancora una risoluzione e che il suo maggior limite è di applicarsi, una volta approvata, solo alla Rai. Si tratta di un regolamento in cinque punti, che dovrà essere votato dai gruppi parlamentari: lunedì 11 scade il termine per la presentazione degli emendamenti.
Ecco i contenuti della risoluzione: ospiti competenti e a titolo gratuito, rotazione delle presenze, contrasto alla disinformazione, assicurando “l’equilibrio corretto delle posizioni esposte” (richiamo alla ormai dimenticata par condicio?) e, in particolare, “evitare la rappresentazione teatrale degli opposti e delle contraddizioni, alla ricerca della spettacolarizzazione e del dato di ascolto”.
A parte la connotazione negativa assunta dall’aggettivo “teatrale” (il Teatro non è un pollaio, direbbe Eduardo), si tratta di un punto che, secondo alcuni, può celare una forma di omologazione dei contenuti. “Il servizio pubblico – sottolinea l’autore di BloggoRai, blog molto letto dentro e fuori Viale Mazzini – deve garantire l’espressione di punti di vista opposti e la varietà delle opinioni. Questa deve essere la logica di ogni servizio pubblico, la sua ragione di essere. E, comunque, sarebbe meglio dare autonomia alla Rai e ai direttori di Reti e Tg nel fissare nuove regole per un genere ormai usurato”.
Una cosa è certa: il talk televisivo non ha più credibilità e mostra scarsa capacità di orientare i telespettatori. L’avvento dei social media ha spostato l’asse della comunicazione tra politici, giornalisti e cittadini, privilegiando questi ultimi, almeno in apparenza; in realtà, premiando profili anonimi, opinioni e false notizie creati da macchine e non da persone. La televisione riesce ancora ad essere un mezzo per la maggioranza dei cittadini in occasione di eventi come Sanremo o gli incontri della Nazionale di calcio. Ha recuperato spazio e ascolti con la pandemia, il lockdown e il lavoro a domicilio, tiene il passo con la guerra in Ucraina (ma qualcuno ha visto i servizi di Cnn o di Sky News rispetto a quelli dei Tg nostrani?). La Rai, insomma, non è più al centro del sistema dei media: non ha saputo rinnovare il proprio racconto della realtà e della ricerca della verità. La risoluzione della Vigilanza porrà forse un freno alle maggiori degenerazioni del talk show del servizio pubblico, come nel caso delle critiche di Franco Di Mare, direttore di Rai3, a Carta Bianca e alla sua conduttrice. Resteranno in onda molti di quelli dove dimorano amici, professionisti delle opinioni, parenti ma dove, spesso, si parte da sondaggi addomesticati e da interviste attentamente “selezionate”. I privati potranno continuare a farlo.
Un altro elemento, infine: l’ascolto non è più solo in “diretta”, ma avviene su una pluralità di schermi anche in tempi differenti e questo porta lo spettatore ad essere già “preparato” sul talk show che si appresta a vedere o, se proprio non ha altro da fare, a rivedere. La “piazza” è scomparsa, sostituita dalla democrazia (molto indirizzata, spesso da interessi non rivelati) della Rete. Il Talk show è un format da rivedere in toto, più che da indirizzare da parte di politici che, a volte, ne sono protagonisti, non sempre in linea con la proposta di risoluzione del presidente della Vigilanza.
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