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In viaggio verso l’Oriente con Ludwig van Beethoven nel cuore. Partirà il prossimo 28 dicembre da Taizhou un tour che toccherà alcune tra le più importanti città della Cina (Shenzen, Guangzhou, Zhongshan, Heyhuan): protagonisti il direttore d’orchestra italiano Antonio Puccio e la Philharmonie Salzburg, una delle più accreditate formazioni orchestrali di area austriaca.
Il programma, dedicato interamente a Beethoven, vedrà in tutti gli appuntamenti l’esecuzione della Sinfonia n. 3, “Eroica” e proporrà l’alternanza di solisti cinesi, per il Concerto n. 3 per Pianoforte e Orchestra e il Triplo Concerto in Do maggiore per violino, violoncello, pianoforte e orchestra: Jieni Wan (pianoforte), Xi Chen (violino), Japeng Nie (violoncello) e Hui Hu (pianoforte).
L’Ente cinese organizzatore degli eventi ha fortemente voluto il Maestro Puccio “per il messaggio dirompente delle sue interpretazioni beethoveniane, riconoscendogli una rara capacità di rilettura e proposizione della musica sinfonica, coinvolgente per il pubblico e significativa per gli appassionati”, si legge nella nota che annuncia il tour.
In questi giorni il direttore è ancora a Roma. Il conto alla rovescia della partenza però è già iniziato. Si va prima nella fiabesca Salisburgo, la città di Wolfgang Amadeus Mozart, dove incontrerà la Philharmonie Salzburg. Poi in Cina. Sono giorni di prove febbrili per il Maestro Puccio, ma tra una telefonata e l’altra, pause brevissime, spostamenti in tram o a piedi sotto la pioggia in una Roma affollata e pre-natalizia, riusciamo a contattarlo.
È venerdì, è appena rientrato nella sua casa a Trastevere «…sotto una pioggia battente – mi dice – Confesso che il manager della Cina mi ha appena chiamato per informarmi dell’attesa crescente del pubblico per la mia lettura dell’Eroica di Beethoven… Chiudo gli occhi e sento che il brusio del pubblico in sala è di colpo cessato: entra il direttore! E avverto, come sempre, quell’attimo di panico che precede la certezza della felicità. Poi, abbasso con determinazione la bacchetta e i due accordi iniziali della Sinfonia, simili a due colpi di cannone, mi fanno perdere la sensazione del peso corporeo. Solo adesso so che nulla potrà più fermare la magia della “musica che accade”».
Maestro, ci racconta un po’ della tournée che La vedrà sul podio di alcune importanti istituzioni concertistiche della Cina a dirigere la Philharmonie Salzburg, con quattro giovani solisti già affermati e con un programma dedicato a Beethoven?
«Il tour è nato dalla proposta ricevuta da una delle più importanti agenzie artistiche cinesi che ha espresso un vivo interesse per le mie interpretazioni della Quinta e Settima Sinfonia di Beethoven realizzate precedentemente con l’Orchestra Verdi di Milano e disponibili sul web».
Anche questo un programma audace e interamente dedicato a Beethoven…
«La scelta del programma che ho proposto personalmente, successivamente condiviso con la Philharmonie Salzburg e con i solisti, è senza dubbio il frutto di una profonda riflessione legata alla mia prima esperienza con il pubblico cinese, particolarmente attento a cogliere i molteplici aspetti di una simile performance: profondità interpretativa, gesto del direttore, coinvolgimento della compagine orchestrale ecc. Beethoven, per me, offre molto da questo punto di vista, anche se chiede in cambio uno sforzo titanico all’interprete consapevole…».
Alla domanda su chi fosse il suo compositore preferito, Arthur Rubinstein rispose: “Potrei immaginare la scomparsa di un’intera isola dalla faccia della terra, senza che ne abbia a soffrire… viceversa, non potrei più vivere senza Beethoven…”. È così anche per Lei? Beethoven resta sempre una delle Sue sfide preferite o mi sbaglio?
«In Beethoven trovo una soddisfazione totale anche se molto difficile da spiegare: a causa delle (troppe) inutili sovrastrutture culturali con le quali si giunge alla sua Musica, lo smarrimento e il senso di frustrazione sono una tappa obbligata prima di giungere fino alla vetta più alta del suo magistero, dove – al contrario – si è totalmente in comunione con la propria spiritualità, come in una eterna catarsi. È necessario, quindi, liberarsi di tutte le certezze e le contraddizioni per poterne trovare di nuove, e in Beethoven ci sono tutte quelle di cui abbiamo bisogno!».
Lei ha studiato pianoforte, composizione, direzione d’orchestra, canto e direzione corale, filosofia, psicologia ed estetica della musica. Ha collaborato con diverse e prestigiose orchestre italiane ed europee … Nel curriculum, però, c’è anche l’incontro con Claudio Abbado che nel 2006 ha seguito in tournée internazionali. Cosa Le ha insegnato e cosa Le ha lasciato in eredità Abbado?
«Nel 2004 ho scritto una lettera a Claudio Abbado, a seguito della quale mi ha chiamato e invitato a seguirlo in tournée. L’incontro con Abbado, uno dei più grandi interpreti del Novecento, è stato decisivo per la mia scelta consapevole di dirigere e per questo gliene sarò eternamente grato. Ho imparato molto osservando da vicino il suo preziosissimo lavoro, ma più di tutto ho imparato da lui che “dirigere” è – prima di ogni altra cosa – profonda consapevolezza di sé, del proprio messaggio artistico e del proprio ruolo verso l’orchestra…».
Qualche tempo fa in un’intervista Le ho chiesto quale fosse la partitura della Sua vita. Lei ha risposto il “Don Giovanni” di Mozart. Ha cambiato idea?
«Decisamente NO!».
È anche fondatore e direttore de L’Arco Magico Chamber Orchestra, con il quale ha già effettuato la registrazione di alcune tra le più importanti pagine della musica barocca, dallo “Stabat Mater” e ai due “Salve Regina” di Pergolesi, o la registrazione dell’integrale dei “Dodici Concerti Grossi Op. 6” di Haendel. Pensa già ad altri progetti con questo organico orchestrale dedicati alla musica barocca?
«Come ho già avuto modo di dire , la musica barocca per me è e rimane, una esigenza vitale, poiché in essa ritrovo microcosmi di un passato che illuminano la mia strada verso il futuro».
Lei vive di musica ma tra le parole che conserva nel cuore, quali sono quelle irrinunciabili?
«Credo che la vita sia di per sé un racconto straordinario, a patto che ognuno di noi accetti di scriverla ogni giorno in prima persona… comunque e qualunque essa sia!».
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