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Primo comunista salito al Colle e confermato per due mandati, Napolitano intervenne salvando l’Italia dal rischio default

Se c’è un esatto contrario di Enrico Berlinguer, quello è lui: Giorgio Napolitano. Fu il più americano dei comunisti, ma anche il più monarchico, e non solo per la diceria che accompagnò la sua somiglianza con Umberto di Savoia, ma per essersi guadagnato il titolo di Re Giorgio negli anni del suo bis-settennato al Quirinale. Racchiudere la vita di Napolitano in un ritratto non è cosa facile.

Non si faceva più conto dell’età dell’ultimo fra i comunisti. «Sembrava fosse eterno» mormorano in Transatlantico. Gli stessi che raccontano che fino all’ultimo ha seguito passo passo le vicende politiche, l’iter dei decreti più controversi, l’evoluzione della coalizione di centrosinistra, di cui è stato per un certo frangente regista.

GIORGIO NAPOLITANO, IL COMUNISTA CHE ATTRAVERSÒ LA STORIA D’ITALIA

Nato nel 1925 a Napoli: il padre Giovanni era un avvocato liberale, autore di saggi e poesie, la mamma Carolina Bobbio era figlia di nobili napoletani di origini piemontesi. Frequenta il Liceo Classico Umberto I di Napoli, poi  giurisprudenza presso l’università Federico II. È un appassionato di letteratura, una passione che lo avvicina dell’intellighenzia culturale napoletana: da Raffaele La Capria a Francesco Rosi, da Luigi Compagnone ad Antonio Ghirelli.

Sono gli ultimi anni del fascismo. Sono gli anni in cui entra in contatto con il gruppo di comunisti che preparano a Napoli l’arrivo di Palmiro Togliatti. Siamo nel 1944, l’anno successivo il giovane Napolitano si iscrive al Partito comunista. Viene eletto deputato per la prima volta nel 1953 e ci resterà ininterrottamente fino al 1996. A via delle Botteghe delle Oscure, riveste incarichi di prestigio, vicesegretario di Luigi Longo, responsabile della politica culturale dei comunisti. Ma non riuscirà a farsi eleggere segretario.

NAPOLITANO, L’ITALIA, L’URSS E GLI STATI UNITI

Di sicuro i più lo ricordano in quegli anni per essere stato uno degli esponenti storici della destra del Pci. Da cui nasce una corrente, quella dei miglioristi, ispirata ai valori della socialdemocrazia, nel solco della tradizione segnata da Giorgio Amendola. E al rapporto con gli Stati Uniti. Da Amendola eredita l’orientamento riformista di leader dell’ala moderata del PCI, proseguendo nella battaglia per far crescere l’europeismo del PCI fino a candidare al Parlamento europeo Altiero Spinelli.

Si distanzia ulteriormente dall’Unione Sovietica, non solo enfatizzando i contatti con gli Stati Uniti, ma anche condannando l’invasione dell’Afghanistan. Una ferma critica all’URSS da allora accettata dalla maggioranza del partito. Napolitano inoltre si adopera per tenere aperta la possibilità di un confronto e di una possibile convergenza con il PSI. Cerca di mantenere vivi i contatti con il socialismo europeo e italiano, anche negli anni del duro scontro sulla scena politica nazionale tra comunisti e socialisti, che raggiunge il culmine nel 1985 con la differente posizione dei due partiti circa il referendum abrogativo sulla cosiddetta “scala mobile”.

Nello stesso anno affermava che il riformismo europeo è «il punto di approdo del PCI». Dal 1986 dirige nel partito la commissione per la politica estera e le relazioni internazionali. In quegli anni all’interno del partito prevale, in politica estera, la sua linea di “piena e leale” solidarietà agli Stati Uniti d’America e alla NATO; Henry Kissinger dichiarò in seguito come Napolitano fosse il suo comunista preferito («my favourite communist»). Capogruppo del Pci 1981 al 1986, l’anno successivo sbarca a Strasburgo come parlamentare europeo.

LA MANCATA ELEZIONE A SEGRETARIO DEL PCI

Dopo la morte di Berlinguer viene considerato uno dei possibili eredi alla segreteria, ma poi gli viene preferito Alessandro Natta. Quando cade il Muro di Berlino sarà fra coloro che spingeranno per la trasformazione del Pci in Partito Democratico della sinistra, un passaggio epocale che segnerà la sorte della sinistra. Non a caso il 6 marzo del 1992 dirà: «Ci caratterizza l’antica convinzione che il PCI abbia tardato a trasformarsi in un partito socialista democratico di stampo europeo».

NAPOLITANO DA RISERVA DELLA REPUBBLICA A PRESIDENTE PASSANDO PER LE CRISI POLITICO-ECONOMICHE DELL’ITALIA

Ecco il 1992 rappresenta un anno importante nella lunga vita di Napolitano. Diviene infatti presidente della Camera nei mesi in cui esplode Tangentopoli, impazzano le stragi di mafia in Sicilia, con l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino. Un anno che segnerà di fatto il passaggio tra la prima e la seconda Repubblica. Da terza carica dello Stato si distingue per lo stile, il linguaggio e la preparazione. La centralità del Parlamento sarà uno dei totem della sua azione da presidente della Camera. Tutti requisiti che lo ergeranno a riserva della Repubblica.

Ministro dell’Interno del governo Prodi, si ritaglierà un ruolo di rilievo negli anni dell’ascesa di Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Restando uno dei padri nobili del centrosinistra italiano. Al punto che nel 2006 la coalizione di centrosinistra a maggioranza riuscirà a farlo eleggere capo dello Stato. Il suo “primo” settennato sarà costellato dalla gestione della crisi del secondo governo del professor Prodi, crisi che porterà alle elezioni politiche nel 2008. Un ritorno alle urne che consegnerà il Paese per la terza volta a Silvio Berlusconi. Vittoria piena, quella del centrodestra, capitanata del Cavaliere.

L’AZIONE DI NAPOLITANO, LA FINE DEL GOVERNO BERLUSCONI E IL RISCHIO DEFAULT PER L’ITALIA

Sono anni di scontri tra la war room di Palazzo Chigi e il Quirinale. In particolare, nell’estate del 2011 l’Italia si ritrova al centro di una pressione finanziaria di una inusitata potenza, alla quale il governo Berlusconi, con una maggioranza ormai sfilacciata – c’è già stata la fuoriuscita delle truppe di Gianfranco Fini – non sembrava in grado di far fronte. Napolitano si servirà di una mossa che tanti hanno criticato. Prima sceglie Mario Monti, rettore della Bocconi e già commissario europeo, come senatore a vita. E dopo le dimissioni di Berlusconi, convoca Monti al Quirinale proponendogli di costituire un governo.

L’esecutivo Monti ha una maggioranza ampia, ad eccezione della Lega di Umberto Bossi. Il clima all’inizio sembra essere disteso. Poi piano piano vengono fuori i malumori dei partiti che mal digeriscono i tecnici e soprattutto certe riforme impopolari. Il tutto si conclude nel peggiore dei modi, perché fuori dal Parlamento l’operazione Monti viene percepita come una mera «operazione di palazzo», così da gonfiare i consensi del M5S di Beppe Grillo.

PRIMO PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA RIELETTO

Si ritorna al voto nel febbraio del 2013 ma nessuno riesce a spuntarla. Il “Porcellum” consegnerà due maggioranze differenti, una alla Camera, l’altra al Senato. Il tutto si intreccia con la scadenza del settennato di Napolitano. I partiti non riescono a trovare un accordo su chi dovrà essere eletto al Quirinale. Il nuovo Parlamento boccia in serie Romano Prodi, Franco Marini. Il 20 aprile 2013, visto lo stallo successivo alle elezioni politiche, un ampio schieramento trasversale chiede a Giorgio Napolitano la disponibilità a essere rieletto, venendo riconfermato alla carica, alla sesta votazione, con 738 voti su 997votanti dei 1007 aventi diritto: Napolitano diviene così il primo presidente a essere eletto per un secondo mandato.

I detrattori lo chiameranno «Re Giorgio», i suoi fan ne esalteranno le doti e lo ringrazieranno per aver salvato il paese. Il suo secondo mandato dura circa due anni. Il tempo che a Palazzo Chigi si alterneranno Enrico Letta e Matteo Renzi. Il 31 dicembre del 2014 nel messaggio di fine anno Napolitano annuncia che rassegnerà le dimissioni. Ritornerà a fare il senatore a vita. E fino quando ha potuto ha partecipato a tutte le sedute, seguendo tutti i dossier parlamentari. Il suo grande amico è stato Emanuele Macaluso, scomparso il 19 gennaio 2021.


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