Marco Damilano
3 minuti per la letturaMarco Damilano lascia la direzione de L’Espresso. «Questa mattina ho scritto una mail all’ingegnere John Elkann, presidente del gruppo Gedi, per comunicare la mia decisione di lasciare la direzione dell’Espresso, dopo quattro anni e mezzo», scrive nell’editoriale pubblicato sul sito de L’Espresso Damilano, annunciando così le sue dimissioni da direttore dopo «avere appreso della decisione di vendere L’Espresso da un tweet di un giornalista, due giorni fa, mercoledì pomeriggio».
Damilano ricorda di avere «cercato sempre di fermare una decisione che ritengo scellerata. Mi sono battuto in ogni modo, fino all’ultimo giorno, all’ultima ora. Ma quando il tempo è scaduto e lo spettacolo si è fatto insostenibile, c’è bisogno che qualcuno faccia un gesto, pagando anche in prima persona. Lo faccio io. Lo devo al mestiere che amo, il giornalismo. E soprattutto lo devo alla mia coscienza».
«Sento in questo momento di dover dare qualche spiegazione ai lettori – scrive Damilano – che per un giornalista sono i veri padroni. Per un debito di gratitudine nei vostri confronti, per senso di responsabilità, per un dovere di verità. Lascio la direzione del settimanale dopo quasi quattro anni e mezzo di direzione e esattamente dopo ventidue anni di servizio prestato nella testata più importante del giornalismo italiano, un mito per chi fa il nostro mestiere».
Damilano ricorda la sua carriera nel settimanale di Via Po, iniziata il primo marzo 2001 quando in redazione «c’erano Guido Quaranta, Edmondo Berselli e il mio adorato Giampaolo Pansa. Il direttore era Giulio Anselmi, dopo Claudio Rinaldi. Uno squadrone, la redazione più forte d’Italia, in un Paese dominato da Silvio Berlusconi che di noi aveva paura». E ripercorre la storia dell’Espresso, nato nel 1955, da cui era «partita una flotta di modernità, di progresso, di costruzione della democrazia italiana: prima con la nascita di Repubblica, nel 1976, poi con la rete dei giornali locali, infine con il gruppo Gedi, dopo la fusione con la Stampa. L’Espresso ha segnato la storia del giornalismo italiano”, osserva Damilano, ricordando “le grandi inchieste, la lotta contro le mafie, le massonerie e tutti i poteri occulti, la laicità dello Stato, l’ambiente, la tenuta della democrazia italiana. Siamo sempre stati schierati, a volte sbagliando, ma mai venendo meno al nostro codice genetico».
«Sono le stesse battaglie che abbiamo portato avanti in questi quattro anni e mezzo. L’Espresso ha raccontato l’Italia che cambia, con l’inizio della nuova legislatura, nel 2018, il governo dei sovranisti e dei populisti e poi l’incubo della pandemia, dal 2020», dice Damilano, parlando della crisi che ha investito il settore e sottolineando che «Gedi è nel cuore di questa crisi. In un gruppo che aveva sempre fatto della solidità, della stabilità e della continuità aziendale e editoriale il suo modo di essere, soltanto durante la mia direzione si sono alternati due gruppi proprietari, due presidenti, tre amministratori delegati, tre direttori di Repubblica. E ora si vuole far pagare al solo Espresso l’assenza di strategia complessiva».
Sulle voci di vendita della testata dice che sono stati «mesi di stillicidio continuo, di notizie non smentite, di voci che sono circolate indisturbate e che hanno provocato un grave danno alla testata. Non mi sono mai nascosto le difficoltà. Ho più volte offerto la mia disponibilità in prima persona a trovare una soluzione per L’Espresso, anche esterna al gruppo Gedi, che offrisse la garanzia che questo patrimonio non fosse disperso. Ma le trattative sono proseguite senza condivisione di un percorso, fino ad arrivare a oggi, alla violazione del più elementare obbligo di lealtà e di fiducia. La cessione dell’Espresso, in questo modo e in questo momento, rappresenta un grave indebolimento del primo gruppo editoriale italiano. È una decisione – conclude – che recide la radice da cui è cresciuto l’intero albero e che mette a rischio la tenuta dell’intero gruppo».
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