Il presidio del comitato «Restiamo a Sant’Egidio»
10 minuti per la lettura«MAI con Pagani: vivo qui da 76 anni, da quando sono nato, e il mio comune è sempre stato Sant’Egidio del Monte Albino». Nelle parole di uno “storico” residente della frazione Orta Loreto presente alla protesta promossa contro il passaggio dell’area da un comune all’altro è racchiuso tutto il “senso di appartenenza” delle 1.300 anime della cosiddetta Zona contestata. La chiamano così, quest’area di circa 900mila metri quadrati, un lembo di terra compreso tra i comuni di Pagani e Sant’Egidio del Monte Albino, nel “cuore” dell’Agro nocerino-sarnese, area nord della provincia di Salerno. Ma che contestata non lo è più, o non dovrebbe esserlo, dal 21 agosto scorso, quando una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilito che questa zona rientra nei confini del comune di Pagani.
La decisione, che avrebbe dovuto mettere fine a una vicenda che si trascina da decenni, non è però scivolata via in maniera indolore. Anzi, è stata presa malissimo dai residenti di Orta Loreto, che dal dopoguerra a oggi – ossia da quando il Comune ha riacquistato l’autonomia persa temporaneamente – hanno sempre fatto riferimento a Sant’Egidio del Monte Albino. E da allora è scattata la mobilitazione: costituzione di un comitato spontaneo, “Restiamo a Sant’Egidio”, seduta straordinaria del consiglio comunale, botta e risposta tra i due sindaci, convocazione di incontri in Prefettura per uscire dall’impasse e così via. Compresi i tentativi di coinvolgimento della Regione, oltre che della mediazione di Confindustria Salerno, nella cui sede il 3 novembre scorso si è tenuto un incontro, non privo di momenti di tensioni, con i tecnici e i sindaci dei due Comuni: Antonio La Mura per Sant’Egidio del Monte Albino e Raffaele “Lello” De Prisco per Pagani. Già, perché a Orta Loreto, nel frattempo, si sono insediate anche delle aziende, che hanno fatto investimenti (con autorizzazioni sempre del Comune di Sant’Egidio), che danno lavoro e che temono contraccolpi rilevanti per le proprie attività fino a quando non si arriverà a una soluzione definitiva della vicenda.
Qualcuno c’è già stato. Piccolo esempio: un imprenditore in procinto di fittare un capannone da adibire a deposito, preoccupato dalla diatriba tra gli enti, saluta in tutta fretta e va a chiudere l’affare nel comune di Pompei. Ma accade anche di peggio.
Il caso Co.Mi. tra Pagani e Sant’Egidio
Alla “Co.Mi. srl”, una importante azienda che si occupa della fornitura di macchinari di riempimento e svuotamento soprattutto per il settore agroalimentare, sono alle prese con la pavimentazione di un locale (nel perimetro dell’area aziendale) che dovrà ospitare un macchinario innovativo e costoso. È l’ultima fase di un investimento rilevante, portato avanti con un finanziamento del Ministero (ex Mise, ora Mimit), e gli interventi vanno conclusi entro il 30 dicembre 2023. Pena la perdita dell’ultima tranche di finanziamento, pari a circa un milione di euro, e la conseguente revoca dell’agevolazione con la restituzione di quanto ricevuto finora nei primi due stati di avanzamento (circa l’85% dell’investimento). «All’improvviso, il 5 ottobre sul cantiere si sono presentati vigili urbani e dipendenti dell’ufficio tecnico di Pagani – raccontano alla Co.Mi. -. Con maniere sbrigative e toni perentori, ci hanno imposto di fermare i lavori. Abbiamo spiegato di essere stati autorizzati dal Comune di Sant’Egidio fin da aprile 2023 (molto prima della decisione del Consiglio di Stato) e fornito la documentazione. Ma, i vigili in particolare, non hanno voluto sentire ragioni, ci hanno imposto di sospendere i lavori e obbligato i dipendenti dell’impresa edile ad abbandonare l’azienda per evitare il sequestro dell’area e dei mezzi. Inutili le nostre rimostranze, inevitabili anche i momenti di forte tensione che ne sono seguiti. Peraltro, hanno acquisito i nostri documenti senza rilasciare alcuna ricevuta o verbale. E, davanti alle nostre insistenti richieste, sono stati più che vaghi: “Riceverete delle comunicazioni, rivolgetevi al Suap” e cose del genere. Quando ci siamo rivolti allo Sportello unico, ci hanno detto di non saperne nulla. Insomma, un comportamento inaccettabile e una grande incertezza. Mentre noi abbiamo tempi e scadenze da rispettare che mettono a rischio il finanziamento e l’espansione dell’azienda».
Sono infuriati, alla Co.Mi. tanto che l’amministratore Antonio Coppola – proprietario dell’azienda insieme al socio Giuseppe Miraglia – si reca dai carabinieri e querela i vigili di Pagani per abuso d’ufficio. Gli imprenditori si rivolgono anche a un noto studio legale. Non vivono sonni tranquilli neppure le altre aziende, tanto che entra in gioco pure Confindustria Salerno promuovendo un primo incontro tra la vicepresidente Lina Piccolo e gli imprenditori dell’area. Di quanto accaduto alla “Co.Mi.” vengono a conoscenza anche gli amministratori locali e l’azienda riceve pure la visita informale dei due sindaci.
Si può trovare una soluzione non traumatica? Forse sì, ma l’impressione è solo apparente. A distanza di alcuni giorni, la situazione si complica ulteriormente. Il 17 ottobre scorso il Comune di Pagani invia una pec al solo direttore dei lavori impegnato alla “Co.Mi.” e ordina la sospensione dei lavori per 45 giorni “rilevando che Scia alternativa al Permesso di costruire è in assoluto difetto di attribuzione al Suap del Comune di Sant’Egidio del Monte Albino in quanto non competente per territorio”. Nulla viene recapitato all’azienda che, quindi, si ritrova tra color che son sospesi. «A quanto pare – sottolineano alla Co. Mi. -, l’atto amministrativo così com’è, secondo i nostri legali, non sarebbe conclusivo ma solo di avvio e preparatorio della procedura amministrativa. Quindi non possiamo neanche impugnarlo davanti al Tar per chiedere l’eventuale sospensiva. Ma il tempo stringe – insistono -, il nostro macchinario innovativo sta per arrivare e qualora il locale non fosse completato non si potrebbe scaricare né montare, causando un’infinità di danni. Riteniamo di dover difendere il nostro diritto di esistenza come impresa, come parte integrante di una filiera produttiva di rilevanza nazionale e come comunità produttrice di valore economico per il territorio che, prima di essere comune di Pagani o Sant’Egidio del Monte Albino, è Repubblica italiana». In sintesi, un gran pasticcio, che ad alcuni rischia di costare caro.
Come uscirne? A livello istituzionale, il neo prefetto di Salerno Francesco Esposito, insediatosi solo il 2 ottobre scorso, ha incontrato i due sindaci. Si è deciso di istituire una commissione paritetica che dovrà sbrogliare la matassa, ne faranno parte anche rappresentanti dei Comuni di Pagani e di Sant’Egidio. Ma i tempi per decidere, si prevede, non saranno brevi. E le imprese sollecitano soluzioni rapide e ovviamente indolori. Lo hanno ribadito gli imprenditori, venerdì scorso, all’incontro in Confindustria Salerno promosso dal presidente Antonio Ferraioli. A cominciare dai titolari della Co.Mi., per i quali i tempi si fanno sempre più stretti e i rischi sempre più alti. «I sindaci hanno dato massima disponibilità a collaborare, precisando però che esistono norme e tempi tecnici da rispettare. Ma per noi è una corsa contro il tempo e il rischio è di mandare a monte tutti i sacrifici fatti in questi anni. Con i relativi posti di lavoro. Eppure abbiamo agito nella piena legalità. Chiediamo: non è possibile salvaguardare quanto fatto finora dalle aziende in attesa di risolvere la questione tecnico-amministrativa tra i Comuni?».
Interrogativo girato ai due sindaci, naturalmente, cui spetta il compito di uscire da una vicenda che sembra appartenere a un’altra epoca. La storia. Tutto parte dalle risultanze di un foglio catastale, manco a dirlo contestato, risalente al 1809 poi ripreso graficamente quando fu istituito il Catasto del Regno d’Italia. Secondo quel foglio l’area di Orta Loreto ricade nel territorio di Pagani ma per il Comune di Sant’Egidio si tratta di un “errore storico”. Si obietta che nei censimenti del 1901 e del 2011 la “zona contestata” viene ricompresa nel Comune di Sant’Egidio, il quale si occupa dell’anagrafe della popolazione, dei servizi da erogare, dei tributi, di autorizzazioni e permessi da rilasciare e così via, al contrario del Comune di Pagani, che di nulla si sarebbe mai preoccupato fino al 2006 quando, secondo i “vicini”, avrebbe sollevato la questione della titolarità della zona solo per “esigenze tributarie”.
Sta di fatto che a dicembre 2019, mancando un accordo tra i due comuni sui confini, il Consiglio provinciale di Salerno si pronuncia – come previsto dalla Legge regionale n. 54 del 1974 – e riconosce l’appartenenza dell’area contesa a Sant’Egidio del Monte Albino, che negli anni si è sempre occupato della sua gestione amministrativa senza alcuna contestazione. Ciò malgrado le risultanze catastali che indicherebbero Pagani. Da qui parte l’ultima fase del contenzioso. Il Comune di Pagani impugna la decisione della Provincia davanti al Tar che, a febbraio del 2021, gli dà ragione. Il Tribunale amministrativo sentenzia che è illegittimo determinare i confini senza tener conto delle evidenze catastali. Insomma, la perimetrazione deve tener conto degli accertamenti dei dati più recenti del Nuovo Catasto Terreni, né possono assumere rilievo, a fini probatori, altri fatti o circostanze, anche risalenti nel tempo. In pratica, non è sufficiente occuparsi della gestione dei vari servizi per sostenere che quella porzione di territorio appartiene al comune di Sant’Egidio.
La conclusione cui sono giunti i giudici del Tribunale amministrativo non piace naturalmente al Comune di Sant’Egidio e alla Provincia di Salerno che, a loro volta, si appellano al Consiglio di Stato. Ma senza fortuna, perché i giudici della Quinta sezione di Palazzo Spada, nella sentenza pubblicata il 21 agosto scorso, respingono i ricorsi, confermano la decisione del Tar e danno quindi ragione al Comune di Pagani. Il tutto partendo dal riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale che opera una distinzione tra l’attività amministrativa diretta all’accertamento dei confini tra i comuni e le modifiche delle loro circoscrizioni.
Contenzioso chiuso? Nelle aule giudiziarie sembra di sì ma sul “campo” è un’altra storia. I sindaci.«C’è un tema enorme, del quale non si può non tenere conto, che ha a che fare con la storia, le radici, l’identità e la cultura di un popolo – spiega Antonio La Mura, sindaco di Sant’Egidio del Monte Albino -. Nei 900mila metri quadri della Zona contestata vivono circa 1.300 persone che si sentono di Sant’Egidio e che qui sono nate, sono cresciute, hanno frequentato la scuola, hanno costruito le loro relazioni, hanno scelto di vivere, votano, si sono sposate e hanno messo su famiglia. Naturalmente, le sentenze vanno rispettate, e su questo non si discute. Tuttavia resto dell’avviso che questa storia infinita abbia un’unica soluzione possibile, quella cioè di definire una volta per tutte che chi vive nella zona contesa è di Sant’Egidio. È per questo che ci battiamo da anni, accanto ai cittadini che, prima e più di noi, ne sono convinti. La volontà popolare non può non contare e, ancora di più, non può non trovare una qualche forma di legittimazione. Noi continueremo a combattere per trovarla». Come? L’idea è di chiamare in causa la Regione per arrivare a una legge specifica, come previsto dall’articolo 133 della Costituzione, per conservare la potestà amministrativa dell’area della discordia.
La mobilitazione comincia dalla convocazione di un consiglio comunale ma, intanto, le parti in causa si confrontano anche a livello istituzionale con il prefetto Francesco Russo, a sua volta in procinto di lasciare Salerno per Bari. La protesta di Orta Loreto prosegue con la costituzione di un comitato spontaneo che, il primo ottobre scorso, porta i cittadini a manifestare in piazza. Invitati a partecipare anche i due sindaci, ma quello di Pagani, Raffaele “Lello” De Prisco, preferisce declinare. «Trovo la scelta della manifestazione – spiega ai promotori del presidio il primo cittadino di Pagani – legittima dal punto di vista mediatico, ma inefficace dal punto di vista sostanziale per addivenire ad un dialogo costruttivo e concreto, soprattutto se il fine è quello di non mettere in esecuzione una sentenza. Accetterei dal Comitato volentieri un invito per parlare di cose concrete per i nostri concittadini, ad esempio concessioni, servizi, tributi, Puc e i relativi atti che il Comune di Pagani potrebbe, dovrebbe, e vorrebbe fare, per tutelare gli interessi legittimi di ognuno degli interessati. L’amministrazione paganese è disponibile sin da ora a concordare tutto quanto necessario per un passaggio il meno traumatico possibile».
Sembra una mano tesa e un invito alla distensione da parte di Pagani. Ma l’approccio non è proprio “delicato”, come si è visto da alcune azioni poi messe in campo. A cominciare da quella del “caso Co.Mi.”. Si riuscirà davvero a venire fuori dall’ennesimo paradosso all’Italiana?
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