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Il bollettino del Ministero della Salute di ieri sulla situazione del Covid indicava altre  421 vittime per un totale  dall’inizio della pandemia – o comunque da quando è iniziata la triste conta quotidiana ufficiale – di 88.279 morti. È un numero così grande che è diventato quasi “etereo”. È come se fosse lì in una sorta di bolla che si muove sulle nostre teste, ma  “lontana”, in un’altra dimensione. La nostra vita va avanti, con tutte le restrizioni imposte, ma va avanti. Ed è giusto così, altrimenti sarebbe insopportabile reggere il peso di quello che sta accadendo. Secondo me, però, quel numero già così enorme, in realtà è sottostimato.

Al totale delle vittime da Covid io aggiungerei almeno altre due vittime. E sottolineo “almeno” perché ho la sensazione che come queste due ce ne siano tante altre. Ufficialmente sono due decessi per altre situazioni, ma a pensarci bene no, è colpa di questo maledetto Covid.

Adriano Urso era un pianista jazz, aveva 41 anni, viveva a Roma. È morto domenica 10 gennaio scorso di infarto mentre spingeva la sua auto rimasta in panne. Cosa c’entra il Covid? C’entra eccome: causa locali chiusi per lockdown, Adriano non riusciva più a fare il suo lavoro e intanto i pochi risparmi stavano finendo. Per guadagnare qualche spicciolo Adriano aveva iniziato a fare il rider,  consegnava cibo a domicilio. Non aveva mai pensato prima del Covid che un giorno si sarebbe messo a girare la città per portare le pizze, ma i suoi amici raccontano che non si era perso d’animo, quello aveva trovato e quello faceva. Non era tipo da bicicletta o motorino, Adriano. Lui il rider lo faceva con la sua auto d’epoca, una 750 special.

Prima o poi – si diceva – il maledetto virus sarà debellato e i locali potranno riaprire e la gente tornerà a voler ascoltare buona musica dal vivo. Forse sarà così, Adriano però non lo saprà mai. Quella sera Adriano aveva caricato in auto il cibo da consegnare, ma la sua adorata 750 si è fermata. Con l’aiuto di alcuni passanti volenterosi Adriano ha provato a spingerla per farla ripartire, prima che le pizze diventassero troppo fredde. Ma il suo cuore lo ha tradito. Adriano non è nella lista dei morti di Covid, ma è colpa del Covid se ha dovuto smettere di fare il musicista, è colpa del Covid se ha iniziato a fare il rider, per me Adrano è morto per il Covid.

Umberto Sbrescia  66 anni, a Napoli era molto conosciuto: era il titolare di un negozio specializzato in apparecchiature fotografiche professionali, un punto di riferimento per chi con gli scatti ci lavora ai matrimoni e agli eventi. Ma con il Covid i matrimoni sono stati tutti rinviati. Niente feste di laurea, niente compleanni, niente anniversari, niente battesimi: vietati gli assembramenti.

Per il negozio di Umberto Sbrescia niente vendite. E la situazione, mese dopo mese, diventava sempre più difficile. Lo descrivono tutti come un uomo generoso, cordiale e sorridente. Non negli ultimi mesi. Lo hanno trovato impiccato nel suo negozio. Ai familiari ha lasciato un biglietto motivando il gesto con l’insopportabile peso dei debiti. Sul suo certificato di morte c’è scritto suicidio. Ma se non ci fosse stato il maledetto Covid, Umberto mai si sarebbe trovato in quella situazione e mai avrebbe pensato di togliersi la vita.

Era sabato 9 gennaio. Il giorno prima della morte di Adriano. Temo purtroppo che Umberto e Adriano non siano gli unici morti a causa del Covid anche senza aver contratto il virus. E guardo con terrore a quello che potrebbe accadere i prossimi mesi, quando cadrà lo stop ai licenziamenti e un milione di persone, secondo le ultime stime, si troverà senza lavoro.

Quando finirà anche l’ultima proroga dello stop all’invio delle cartelle esattoriali e altri milioni di italiani avranno gli incubi di perdere la casa o l’attività perché non possono pagare le tasse. Non so se sia stato sbagliato far cadere un governo in piena pandemia. Di certo quello che c’era a stento riusciva a far fronte all’emergenza. Il nuovo dovrà andare oltre e mettere in piedi un serio piano di rinascita, che possa evitare le tragedie come quelle di Umberto e Adriano.


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