Oliverio Toscani
3 minuti per la letturaLo so che è difficile come pettinare i capelli di Luciano Benetton. Ma bisognerebbe che qualcuno spiegasse al padano Oliviero Toscani -milanese, classe 42- che, anche se lui fosse un incrocio geniale fra Duchamp e Cartier Bresson (il che è tutto da dimostrare), be’, non può sempre comportarsi come se fosse l’alieno sgarbato del bar di Guerre Stellari, sempre pronto a ruttare in faccia al primo avventore che gli passa sotto il naso. Prima o poi qualcuno s’incazza.
Non si fa. Non è elegante. Neanche se pensi di essere un radical chic con le movenze di un orso bruno, o se tu dici di non avere peli sulla lingua perché li hai tutti sullo stomaco. Prendete l’ultimo guizzo del Toscani a Un giorno da pecora su Radio1. In merito alla caduta del Ponte Morandi (gestito da Autostrade che fa capo ai Benetton”), l’artista biascica: “Noi come Fabrica con Autostrade non abbiamo proprio niente da fare… Benetton sì, ma è un azionista di una società di cui la famiglia ha il 30%, ma magari anche Lei lì a ‘Un Giorno da Pecora’ ha investito in banca e ha un’azione di Autostrade, non negli stessi termini di Benetton… Ma è come se anche Lei fosse responsabile della caduta del ponte, ma in fondo a chi interessa se casca un ponte? Smettiamola…” . Già, a chi interessa? Ovviamente i Benetton si dissociano in un nanosecondo; le famiglie dei 43 morti del ponte, choccate, minacciano querele, mezz’Italia gli dà del pazzo, l’altra metà pensa sia un coglione. Sono quei momenti in cui il confine semantico tra i due concetti appare assai labile. Toscani, preso a sberle, si giustifica con un’affermazione ancora più spiazzante: “Mi dispiace che parole estrapolate e confuse possano far pensare una follia come quella che a me non interessi nulla del Ponte Morandi. A me come a tutti quella tragedia interessa e indigna ma è assurdo che certi giornalisti ne chiedano conto a me”.
E qui ha ragione. Non si capisce perché noi giornalisti continuiamo a consultare Toscani su qualsiasi cosa come fosse l’oracolo di Delfi o un clone di Vittorio Sgarbi (ma Sgarbi è un altro pianeta); e ne otteniamo, sistematicamente, in cambio, risposte di una banalità sconcertante quando va bene. Quando va male -cioè quando ritiene di dover “lasciare il segno”-, invece il nostro ruvido trapper lessicale si butta sull’offesa gratuita. Mi sovvengono così, random, una serie di perle del nostro.
“Le donne devono essere più sobrie, dare importanza all’essere più che al sembrare, solo così si possono evitare altri casi di femminicidio” (l’avessero detta Salvini o Amedeus sarebbero appesi a testa ingiù a piazzale Loreto); “Poveretto, già uno che vuol diventare prete, vuol dire che ha già dei problemi. Qualche problema ce l’ha” (sulla vocazione al sacerdozio); “sei un extraterrestre che atterri in Italia e entri in una bellissima chiesa cattolica e vedi uno attaccato, inchiodato a una croce che sanguina, dei bambini nudi che volano, San Bernardo tolta la pelle… Io credo che un club sadomaso non sia così all’avanguardia” (sulla Chiesa in generale); “i veneti hanno il dna etilico, sono degli ubriaconi” (io sono veneto); “Giorgia Meloni è brutta, volgare, ritardata”; “Salvini apre la bocca e gli puzza il fiato quando parla”. E altre amenità del genere. Il giochino è sempre lo stesso. Toscani, convinto di essere Andrè Breton, le spara, e poi torna lentamente sui suoi passi, e qualche volta si scusa; ma nella maggior parte dei casi rimane lì col barbone ispido, l’aria e la sintassi stropicciate, il sorrisetto dell’artista che siccome è artista in fondo è autorizzato a dire quel che gli passa per la testa. Il problema è che se ci passano dei pensieri articolati la cosa ci può stare; ma se ci passa una mandria di bufali inferociti, quel confine tra il pazzo e il coglione all’improvviso si palesa con una trasparenza che mai avresti detto…
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