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Il ragazzo deve avere dei cloni multitasking che scorrazzano in giro.
Prima lo vedi a “DiMartedì” in onda su La7, interrogato da Giovanni Floris il quale, contando sulla di lui vantata laurea in economia gli chiede lumi sulla situazione economica, sul Mes, sulla legge di bilancio, sui dati occupazionali. E il ragazzo, pacifico, risponde che, pur economista, “non esercita” e che si occupa “di energia” e di raduni oceanici di gente incavolata e, di fatto, della materia in cui è laureato non sa una mazza.
ARRIVA BAMBAZ
Poi eccolo a un Giorno da pecora su Radio1, mentre strizzando un limone su un piatto di pesciolini fritti, fornisce giudizi su Di Maio (“A Di Maio tutto si può dire tranne che non sia istituzionalmente elegante”) , su Conte “”Come figura istituzionale non mi dispiace”), su Renzi (“L’ho votato”), su se stesso giocatore di fresbee (“nel mondo del frisbee, di cui faccio parte, mi chiamano Bambaz”).
LA BOLOGNA DEI PORTICI
Poi eccolo, di nuovo, affannosamente a Porta a porta, a Omnibus, mi pare da Porro. Il leader delle Sardine Mattia Santori -sguardo allegro, capello elettrico, l’aria stropicciata di chi s’è appena svegliato, padano felsineo, con la Bologna dei portici e di Lucio Dalla nel cuore- in questi giorni è televisivamente più ubiquo del Matteo Salvini dei bei tempi. La sua è una sorta di nemesi mediatica, è più evocato del leader leghista suo peggior nemico. Sappiamo, oramai tutto di lui. Che è molto corteggiato dalla categoria “over 50, che vogliono farsi dei selfie con me. Ma io sono fidanzato da quattro anni, la mia ragazza è una sardina della prima ora”; che di mestiere riempie le piazze perché ha “imparato in breve tempo il vecchio lavoro di Salvini”; che non ama molto “fermarsi in moto col rosso, non amo perdere tempo”.
Sappiamo tutto del nuovo Masaniello prezzemolato, tranne che cosa egli voglia fare politicamente davvero.
Eppure, tre cose sono chiare del movimento che Mattia sta allevando nel brodo di cultura della protesta pacifica. La prima è che, valutato elettoralmente tra il 6 e il 15% (se a lui si unissero i gretini), sta attingendo al bacino del Pd e della sinistra, e per questo Zingaretti è abbastanza incazzato. La seconda è che laddove Stefano Bonaccini sta puntando tutta la sua campagna elettorale sull’esperienza e sulla capacità tecnica in grado di travalicare il colore politico, Santori ha rovesciato il paradigma; e la sua protesta è soltanto politica, e se non c’è la competenza amministrativa, be’, sticazzi.
FUORI DALLE SCATOLE
La terza cosa è che non ha -almeno per ora- intenzione di candidarsi; non fa promesse che non è in grado di mantenere; non ostenta uno straccio di programma, anzi prende i programmi elettorali degli altri e ci fa un falò. E’ insuperabile nel suo qualunquismo alla Guglielmo Giannini; ma lo è con educazione. Manifesta dissenso ma non lo finalizza -come ha fatto, alla fine, la gran parte dei Cinque Stelle- alla poltrona. E questo prima spiazza, poi insuffla simpatia, poi accende entusiasmi. Entusiasmi che ho visto e condiviso un milione di volte. La speranza è che, stavolta, le sardine non finiscano in scatola…
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