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Dicono che il padano Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, abbia, in queste ore, il volto rigato da lacrime che si mescolano a gocce salmastre di tempesta. Uno strano impasto di dolore e spaesamento.
Mentre la laguna è affogata nell’ “acqua granda”, nelle caligini di un nubifragio che lì non si vedeva da decenni, Brugnaro commenta così la personale, umida, apocalisse della sua città: «Il traffico commerciale è necessario a Venezia, perché la città sia viva. Chi dice che non si debbono scavare i canali in 30 anni sta uccidendo la città. È falso ambientalismo, polemiche di anime belle. Quello di oggi è un evento simile al ’66. Qui non muore Venezia muore il Paese». Ora, l’ispidezza e il commento del primo cittadino -come molto gli spesso accade- sono assai ideologici, ma centrano il problema: il Mose, la grande opera fatta da 4 barriere di 78 paratoie mobili costata 5, 5 miliardi (forse 7 miliardi) non ha funzionato. E la Basilica di San Marco si è riempita di fiumi di fango, l’isola di Pellestrina si trova completamente sott’acqua; sono saltate in una carambola mortuaria le cabine elettriche e le centraline; e sono morte tre persone; ed è stata dichiarata l’emergenza nazionale.
Ma Brugnano -come l’altro padano, il governatore veneto Luca Zaia-, in cuor suo, sa che la grande colpa di tutto questo non è della furia di Giove Pluvio. E’ del Mose. E’ colpa, dunque, del “Modulo Sperimentale Elettromeccanico”, della barriera fra la Laguna e l’Adriatico che dovrebbe bloccare le onde superiori al metroedieci, di quel baluardo marino che avrebbe dovuto scongiurare il destino d’una Venezia potenzialmente in grado di trasformarsi in Atlantide. Il Mose pesa sulla coscienza dei veneti operosi e produttivi, perché è l’unica opera che i veneti operosi e produttivi non avrebbero voluto. Non costruita in questo modo, almeno. E lo dimostra il fatto che, nonostante la sua presenza a usbergo della città dei Dogi, il Mose, pur non essendo mai stato usato, oggi mostri le sue dighe mobili mangiate dalla ruggine a causa di un acciaio di seconda scelta. E i dubbi sulle loro funzionalità sono tali che -rivela L’Espresso- perfino “il Magistrato alle acque aveva dato parere negativo all’ipotesi di attivare le difese anti-marea che pure, in teoria, sono già attivabili nelle quattro bocche di porto di di Malamocco, Lido, Chioggia e Treporti”.
Il Mose, che da ragazzino (sono veneto) arpionava il mio immaginario tra cigolii inquietanti e paratie che si schiudevano dall’acqua come le fauci di enormi caimani, nasce da un’idea che è una tara antica. Risale addirittura agli anni 80, e prende forma nel ’94. I suoi lavori sono cominciati nel 2003 e mai portati a termine del tutto. Ancora ieri, riferisce l’Ansa, lo stesso Zaia lamentava che la sua completa messa a punto sarebbe stata fissata per il 31 dicembre 2021, roba che neanche i tempi d’appalto delle Muraglia cinese. Però, nel mezzo, ecco dipanarsi inchieste e scandali di corruzione che hanno coinvolto alcuni personaggi noti della politica locale e nazionale, come Giancarlo Galan, condannato e finito in galera. E il bello che molti veneti perbene, nel corso degli anni, proposero soluzione alternative al grande mostro. Uno di questi era, per esempio il progetto Arca, che “prevede l’utilizzo di navi porta che potrebbero essere affondate in doppia fila alle tre bocche di porto nella stagione invernale per creare una conca di navigazione” (qualunque cosa significhi). Ma il Mose, oltre che alle speranze dei veneziani, divorò anche quello…
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