Donald Trump
3 minuti per la letturaCarlos, George, Claude e tanti tantissimi altri. Diverse centinaia, sostiene un rapporto di un emerito professore della Columbia University diffuso nel 2014. Centinaia di persone finite nel braccio della morte negli Stati Uniti e giustiziati per crimini orrendi. Che non avevano commesso. Ma nessuno ha creduto alla loro innocenza davanti a “prove schiaccianti” che solo dopo l’esecuzione fatale ci si è accorti che poi tanto schiaccianti non lo erano per niente.
Carlos De Luna urlò la sua innocenza fino all’ultimo istante della sua vita, nel 1989 quando il Texas lo giustiziò. Era lui – dissero gli inquirenti e i giudici – ad aver ucciso un benzinaio durante una rapina sei anni prima.
Carlos era giovane, ispanico, con precedenti penali. Il condannato ideale in una regione dove il razzismo impera ancora oggi. Vent’anni dopo si scoprì che il vero assassino era un altro giovane che gli somigliava molto. Carlos è stato giustiziato da innocente.
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Ce ne sono voluti addirittura settanta di anni per scoprire che quel ragazzino di colore di 14 anni, George Stinney, giustiziato dal boia del Sud Carolina nel 1944 non c’entrava niente con l’uccisione di due ragazzine di qualche anno meno di lui. Settanta anni per decretare che il piccolo George, fu vittima di “un’ingiustizia” alimentata dal razzismo. Aveva solo 14 anni George, un bambino, non era difficile costringerlo a confessare qualcosa che lui non si sarebbe mai sognato di fare e che non aveva fatto. È stato il più giovane condannato a morte nella storia degli Usa. Innocente.
La condanna a morte di Claude Jones fu eseguita il 7 dicembre del 2000 nel Texas. Accusato di aver ucciso il proprietario di un negozio durante una rapina, Claude si era sempre proclamato innocente. Ma c’era una ciocca di capelli vicino alla vittima, e fu detto che era la sua. Non lo era, come poi ha accertato l’esame del Dna. Solo che nessuno lo fece, l’esame del Dna, quando Claude Jones era nel braccio della morte. Lui lo aveva chiesto, ma non fu fatto.
Dieci anni dopo la sua esecuzione i legali della famiglia che non si era mai rassegnata lo hanno ottenuto. E no, quella ciocca, ha rivelato l’esame, non era di Claude Jones ma della stessa vittima. Altre prove non c’erano. Ma intanto Claude era già stato giustiziato. Innocente.
È andata meglio a Henry McCollum e Leon Brown, imprigionati nel 1983, quando avevano uno 19 anni e l’altro 15 anni. Dopo 31 anni di braccio della morte nella Carolina del Nord si è scoperto che erano innocenti. E sono stati liberati. La stessa cosa è accaduta ad altre 187 persone negli Stati Uniti, svela uno studio di qualche anno fa.
Innocenti al patibolo. Come Sacco e Vanzetti, i due anarchici di origine italiana che nel 1927 furono giustiziati per un crimine che non avevano commesso. Ma erano italiani emigrati, che negli States di allora erano considerati come adesso molti nostri connazionali giudicano i nordafricani che arrivano con i gommoni.
Dopo anni di dibattiti, sembrava che l’America e gli americani, la tanto civilissima e progredita America, avesse capito che la pena di morte non può e non deve esserci in un sistema di giustizia avanzato. Sembrava. Da oltre 16 anni le esecuzioni di competenza dello stato federale erano state sospese. Amnesty International aveva addirittura quasi “lodato” gli Usa, sottolineando nel rapporto pubblicato nel 2017 che l’anno prima erano state fatte 20 esecuzioni ” il minor numero dal 1991″.
A fine 2016 però alla Casa Bianca è arrivato un nuovo inquilino, Donald Trump. E viste le sue continue osservazioni sull’argomento c’era da aspettarselo che le cose sarebbero cambiate. In peggio. È di pochi giorni fa l’annuncio del dipartimento di giustizia americano che la moratoria è finita. Le esecuzioni riprenderanno. La prima è già fissata per il 9 dicembre in una prigione federale dell’Indiana, poi ne arriveranno a ruota altre quattro. Il 54% degli americani, dicono i sondaggi, sono favorevoli alla pena di morte. La mossa di Trump, sostengono gli abolizionisti, è solo elettorale. Intanto il mondo tra muri ai confini, porti chiusi e boia che riprendono a lavorare, regredisce sempre più. Ci sarà pure un modo per fermarli.
Eva.kant@quotidianodelsud.it
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