Luciano De Crescenzo
3 minuti per la letturaAndrea Camilleri, Luciano De Crescenzo, Francesco Saverio Borrelli: tre novantenni illustri, morti in questo caldo luglio 2019 quasi contemporaneamente, alla vigilia dei cinquant’anni del primo allunaggio. Il novellista, il filosofo pop e il magistrato integerrimo: chissà quali ricordi avevano di quel giorno, di quella diretta televisiva che sembrava aprire il mondo a scenari impensabili, che però ancora non si sono realizzati.
Immagino il loro incontro, lì davanti al potente fascio di luce bianca che porta al cospetto di Nostro Signore, a congratularsi l’un l’altro, a stringersi la mano, a discorrere del loro ultimo saluto a un’Italia che tanto faceva sperare ma che è diventata sempre peggio, a un mondo che prometteva “la luna” ma che invece continua ad avere milioni di persone che non riescono a sbarcare il lunario e che addirittura muoiono di fame nella quasi indifferenza generale.
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Solo in Africa, secondo un recente rapporto dell’Onu, ci sono 257 milioni di persone denutrite, ben 34 milioni e mezzo in più rispetto a quattro anni fa. E noi occupiamo intere paginate dei giornali a stare dietro a chi vorrebbe respingere quei 30-40 disperati che chissà come e con quale forza sono riusciti a raggiungere le nostre coste pensando di trovare l’Eldorado e un po’ di umanità.
No, non credo che tre personaggi di statura così elevata, possano essersi scambiati frasi banali come «si stava meglio quando si stava peggio».
Ma – salvo il doloroso addio agli affetti familiari – ritengo che in fondo tutti e tre abbiano pensato che andarsene ora fosse proprio il momento giusto. Loro ci hanno provato a rendere l’Italia un po’ più giusta e umana.
Borrelli ha speso tutte le sue energie per combattere la corruzione tra i politici. Scoprire che anche la sua categoria è stata colpita dal virus fino addirittura al massimo organo, il Consiglio superiore della magistratura, deve essere stata un’enorme amarezza.
Camilleri, con il suo commissario Montalbano, era il cantore di un’Italia “antica”, quella dei piccoli paesi e borghi (la sua Vigàta potrebbe trovarsi anche al Nord, ovviamente con un altro dialetto, un’altra cadenza) dove tra trame, invidie, segreti e sospetti comunque ci si conosce tutti e alla fine scatta la solidarietà. Adesso dovunque, nelle grandi metropoli come nei piccoli centri, scatta una sola cosa: il timore dell’altro, a maggior ragione se diverso. E i politici invece di scacciare questi timori, li cavalcano perché “parlando alla pancia della gente” portano a casa un’imbarcata di voti.
Una regressione senza fine, «un ingorgo a croce uncinata» direbbe il professore Bellavista, alias De Crescenzo. Ma come insegna la città tanto amata dal “professore”, quella Napoli dove sono nate tutte le sue fantastiche intuizioni, quella Napoli che oggi come allora sopravvive ai suoi ingorghi quotidiani, non esistono difficoltà impossibili da superare. L’importante è ricordarci tutti giorni – il professore Bellavista docet – che siamo «angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati». I have a dream disse in un suo memorabile discorso Martin Luther King. E non si riferiva all’allunaggio, ma a un mondo dove gli esseri umani valgono tutti allo stesso modo, ricchi e poveri, bianchi e neri, uomini e donne. «I still have a dream», ripeteva come un mantra in quello stesso discorso Martin Luther King. Sono passati più di cinquanta anni, il nostro modo di vivere è completamente cambiato, e quel sogno è ancora lontano dal realizzarsi. Ma noi non ci stancheremo di ripetere: «I still have a dream».
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