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Francesca Moneta

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Meno male che i giovani esistono, noi ogni tanto ce li dimentichiamo, o meglio sottovalutiamo la loro capacità di analisi e la loro sensibilità. Meno male che esiste una fase della nostra vita che ci fa sentire con i superpoteri, che ci spinge a credere che il mondo si può cambiare davvero e renderlo più bello e giusto. Francesca Moneta è una liceale di un istituto statale di Milano :l’altro giorno ha tenuto un breve discorso alla Camera davanti alle più alte rappresentanze istituzionali (capo dello Stato, presidenti di Camera e Senato, membri di governo, parlamentari) per una riflessione sugli anni di piombo, che lei e i suoi compagni di classe hanno studiato in occasione della giornata della memoria delle vittime del terrorismo.

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In quel discorso Francesca ha inserito anche alcune riflessioni sul presente, stigmatizzando il fatto che a volte “i valori democratici fondanti la convivenza civile paiono essere messi in discussione perfino da chi riveste alte responsabilità di governo”. La frase, suonata come una frustrata liberatoria , è stata sottolineata con scroscianti applausi. Avevo più o meno l’età di Francesca durante gli anni di piombo. Quando abbiamo capito dove ci stavano portando gli slogan, le provocazioni, i cattivi maestri, era già troppo tardi per fermare l’ondata di violenza. E adesso a volte, come Francesca, ho la sensazione che di nuovo ci stiamo facendo trascinare da una corrente che può diventare impetuosa e pericolosa. Che stiamo giustificando e tollerando alcune intemperanze, alcune “battute”, provocazioni via social, slogan discutibili, come fossero ragazzate.

Sono preoccupata. Molto.

E non capisco come non lo sia anche la stragrande maggioranza degli italiani. Non può essere considerata una provocazione innocente la foto di un vicepremier con il mitra in mano e la scritta “attenti, siamo armati”. Non è accettabile usare per un comizio elettorale il balcone del municipio di Forlì, lo stesso più volte utilizzato dal Duce, lo stesso che affaccia sulla piazza dove i fascisti impiccarono quattro partigiani. “Pioveva, in piazza non era possibile tenere il comizio e mi sono affacciato dal balcone….non lo avessi mai fatto…” ha minimizzato Salvini. Ma i simboli contano, la memoria anche.

E meno che mai è accettabile che normali cittadini non possano esprimere il loro libero pensiero (senza insulti) su una forza politica e che vengano intimiditi. E’ accaduto a Salerno qualche giorno fa, con due episodi in occasione della visita del vicepremier leghista: zelanti funzionari non meglio specificati, hanno pensato bene di imporre la rimozione dello striscione appeso da una signora alle finestre di casa sua che aveva l’ardire di definire la Lega “una vergogna”; altri non meglio specificati rappresentanti delle forze dell’ordine hanno poco dopo tentato di sequestrare il telefonino di una ragazza che mentre si faceva un selfie (autorizzato) con Salvini gli ricordava la sua frase di qualche anno fa sui “terroni di merda”.

L’opposizione ha reagito con una mossa di efficacia pari a meno di zero: Salvini riferisca in Parlamento. Lui se la caverà con le solite battute sferzanti. E gli altri, ovvero noi? Niente, solo qualche mormorio, seppellito dalle solite considerazioni: e che sarà mai? non stiamo mica parlando delle camicie nere e dell’olio di ricino.

Ecco, appunto. Sarà bene evitare di arrivarci, sarà bene che gli italiani vadano a rileggersi i libri di storia, soprattutto quei passaggi che sottolineano l’indifferenza generalizzata ai primi segnali dell’avvento del fascismo, e poi delle leggi razziali (non riguarda noi, dicevano in tanti allora) e della enorme tragedia che hanno vissuto i nostri nonni e bisnonni. Sarà bene ricordare il monito della giovane Francesca alla Camera. E cercare di debellare il virus dell’indifferenza nei confronti di comportamenti potenzialmente pericolosi, prima che si diffonda a macchia d’olio.

eva.kant@quotidianodelsud.it


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