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Perin del Vaga, Giustizia di Seleuco (1521 circa), Galleria degli Uffizi, Firenze.

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“I magistrati non siano ostinati, non giudichino per fare oltraggio, e nel dare le sentenze non abbiano presente né l’amicizia né l’inimicizia, ma la giustizia. In tal guisa daranno giudizi giustissimi e si mostreranno degni del loro posto”. Parole, queste, per davvero attuali, specie ai nostri giorni, in cui assistiamo ad una crisi, anche etica, della magistratura. Si tratta di una sentenza normativa da far risalire intorno al settimo secolo avanti Cristo, attribuita a Zaleuco, il “primo legislatore del mondo occidentale”, come leggiamo in una targa marmorea affissa all’ingresso del Palazzo di Giustizia di Locri.

La recente pubblicazione “Gerace e Zaleuco. Da alba della civiltà a patrimonio dell’umanità” (Academ Editore, 2021) di Luigi Condemi di Fragastò, magistrato della Corte dei Conti di Roma e docente universitario, ha il grande il merito di far riemergere dall’oblio dei tempi contemporanei la figura di Zaleuco, legislatore e giudice, contestualizzandola nei territori della Locride, tra Gerace e Locri Epizefiri, dove il “nomoteta” (cioè, colui che stabilisce la legge, il legislatore) sarebbe nato, avrebbe compiuto gli studi giuridici e avrebbe operato. Con questo libro di Condemi, l’Academ Editore, sotto l’intuizione e la direzione dei giornalisti Roberto Messina e Carmelo Lentino, inaugura una collana di studi giuridici dedicata ai grandi protagonisti del diritto.

La vita di Zaleuco rimane sospesa tra la storia e la leggenda. Come sottolinea Condemi, la stessa indicazione di “primo legislatore” non è del tutto corretta se pensiamo a Licurgo, vissuto tra il dodicesimo e il decimo secolo prima di Cristo. A parte ciò, non vi è dubbio che le leggi di Zaleuco – delle quali ad oggi non ci rimane, purtroppo, un corpo organico – abbiano inciso notevolmente nell’elaborazione giuridica della Magna Graecia. Peraltro, si tratta di leggi “scritte” e non consegnate, quindi, alla indeterminatezza della tradizione orale. Inoltre, la prescrizione del comportamento è spesso accompagnata, in caso di violazione, dalla previsione di una sanzione. In tal modo, queste leggi sono molto efficaci e, soprattutto, sottratte alla discrezionalità dei giudici. “Le sue leggi furono particolarmente apprezzate, tanto che vennero copiate da Caronda, legislatore di Katane (Catania), che le diffuse in altre polis della Magna Grecia (Reggio Calabria, Turi), oltre che in Atene, dove rimasero in vigore per ben duecento anni”, scrive Condemi nel suo libro.

La concezione del diritto che ritroviamo in Zaleuco è ovviamente di origine sacrale, in quanto si ritiene che le leggi siano state dettate direttamente da Minerva. Ciò comporta anche un’attitudine a considerare il corpo normativo come immutabile, a meno di non adottare la procedura del “laccio al collo”: il cittadino che chiede la modifica di una legge deve presentarsi davanti all’Assemblea dei Mille con un cappio al collo, con la conseguenza che, nel caso in cui la variazione non sia accettata, il proponente finisce soffocato: “colui che proponga al Senato la riforma o la sostituzione di una legge vigente deve tenere un ‘laccio al collo’ pronto a strozzarlo se la proposta non venga approvata”, leggiamo in una delle regole di Zaleuco, arrivata fino a noi e riportata nel libro di Condemi. Questa procedura – tramandataci da Demostene – ci può apparire, con gli occhi di oggi, particolarmente brutale (e certamente lo è!), ma sta comunque a significare la tendenza a mantenere il diritto pressoché immutato e immutabile, “permanente”. Infatti, i locresi erano convinti che dalla stabilità del diritto dipendesse la stabilità politica. Un insegnamento, quest’ultimo, di grande ispirazione ai nostri giorni, in cui, al contrario, assistiamo in Italia ad un’attività di iperlegificazione, con una continua sedimentazione di leggi su leggi, a fronte del principio della certezza del diritto. Ciò è ben messo in evidenza nella introduzione dell’avvocato Vincenzo Fulvio Attisani, il quale scrive: “Le aule di Giustizia sono quotidianamente testimoni di un Diritto oggi a tratti farraginoso, istericamente complesso, frammentato in miriadi di disposizioni normative, spesso disarmonicamente sparse qua e là tra migliaia di leggi. Locri Epizefiri fu invece antesignana di un indirizzo culturale ben differente, in cui la “Norma”, divenendo via via più complessa per adeguarsi a una società in crescita, veniva comunque organizzata e compendiata, sì da essere agevolmente conosciuta e riconosciuta da tutti”.

Inoltre, l’attualità delle leggi di Zaleuco è data anche dal fatto che il diritto si configura come limite al potere politico, allorché – leggiamo – “nessuno deve stimarsi superiore ad esse [le leggi]”. Tant’è che, “il decoro e l’utile è posto nel credersi inferiore e nello seguire il comando”. Certo siamo ben lontani da una piena eguaglianza davanti alla legge: nelle città greche rimane affermata la distinzione tra cittadini liberi e schiavi, nonché l’esclusione delle donne dalla vita pubblica. Così come, in fin dei conti, alla base della produzione normativa penale di Zaleuco vi è la “regola del taglione”: “dev’essere cavato un occhio a chi ne cavò un altro” (vale a dire: occhio per occhio, dente per dente!). Ma nelle tesi di Zaleuco pare comunque riecheggiare una sorta di ispirazione che – utilizzando le nostre categorie giuridiche – potremmo definire giusnaturalistica, per la quale la legge diventa un argine all’arbitrarietà del potere politico. D’altra parte, Zaleuco è giudice imparziale, al punto – secondo quanto ci è stato tramandato – da decidere di far cavare l’occhio al figlio, colpevole di adulterio: la scena è mirabilmente rappresentata nell’affresco di Perin del Vaga “La Giustizia di Zaleuco” (1521), oggi esposto a Gli Uffizi. Ma, secondo un’ulteriore versione della storia, Zaleuco si fa cavare lui stesso l’occhio per non accecare del tutto il figlio (un occhio per lui e un occhio per il figlio).

Insomma, il libro di Condemi ci permette di riscoprire la figura di Zaleuco, che tanto, davvero tanto, ha da dire alla civiltà giuridica contemporanea. E la Calabria può così ritenersi culla, tra le altre, del diritto occidentale.


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