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Il film apre nuovi scenari sulla vicenda dell’omicidio di Piersanti Mattarella, ma alla tv di Stato non interessa
Alle 12.50 del 6 gennaio 1980 un killer uccideva con 8 colpi di pistola calibro 7.65, a Palermo, il presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella. Sotto gli occhi di sua moglie e dei suoi figli. Per assurdo che possa sembrare, 45 anni dopo quella tragica Epifania, chi uccise il fratello del nostro presidente della Repubblica non ha ancora un nome. Un docufilm, che verrà proiettato in anteprima giovedì prossimo in un cinema romano, getterà nuova luce su quel delitto derubricato in fretta sotto la voce “mafia”.
Qualche anno dopo, nel 1985, l’indagine finì sul tavolo di Giovanni Falcone. Che avrebbe poi indicato dinanzi a una commissione parlamentare la pista politica come vero movente dell’omicidio. Quella preziosa testimonianza è stata desecretata solo nel dicembre di due anni fa. Troppo tardi.
OMICIDIO PIERSANTI MATTARELLA, I NUOVI SCENARI NEL DOCUFILM
I Mattarella portava avanti la linea delle larghe intese, “il compromesso storico alla siciliana”. Aveva un rapporto privilegiato con il presidente della Dc Aldo Moro, sequestrato e ucciso nel maggio ‘78 dalle Br. Fu eliminato alla vigilia del XIV congresso dello Scudo crociato. Dove prevalse la “linea del preambolo”, ostile all’intesa con il Pci. Venne eletto segretario per la seconda volta Flaminio Piccoli, esponente dei dorotei.
Il docufilm – titolo “Magma, il delitto perfetto”, girato dal regista Giorgio Furlan, prodotto da Mauro Parissone e scritto da Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, e da Antonio Campo Dall’Orto, già ex dg Rai – non verrà però trasmesso dalla Rai, a cui era stato proposto, ma da altre emittenti, su piattaforme private. Come mai? Bisognerebbe chiederlo ai piani alti di Viale Mazzini. Il 6 gennaio, in diretta su RaiTre, verrà ricordata in una puntata di “”Passato e presente” la figura di Piersanti. Ma non è la stessa cosa.
Il docufilm descrive nuovi scenari: la celebre fotografia di Letizia Battaglia, Sergio Mattarella con il fratello morente tra le braccia. Certo. Ma è soprattutto un atto d’accusa. Contiene preziose testimonianze. Tra queste, quella di Maria Grazia Trizzetto, all’epoca capo di gabinetto alla Regione di Mattarella: «Fui io a dargli la notizia della morte di Moro: Mattarella era già a Roma e accorse in via Caetani – ricorda – Aveva subito fortemente quella tragedia».
SCONVOLTO DA ROGNONI
Nel 1978 Piersanti fu nominato presidente della Regione. La Sicilia laboratorio del compromesso storico, i comunisti coinvolti nell’azione di governo. «Ai primi di ottobre – prosegue Trizzetto – il presidente chiese un incontro all’allora ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Non volle, al contrario di quanto abitualmente faceva, portare con sé qualche incartamento particolare, non volle alcun documento. Noi sapevamo che sarebbe tornato nella stessa giornata, anche se non l’orario esatto. Alle 4 del pomeriggio era già di ritorno e mi chiamò sul telefono riservato per convocarmi nella sua stanza. Era pallidissimo, turbato. Mi chiese: “Questa mattina sono stato a Roma, lei sapeva che avrei incontrato Rognoni?”. Risposi “sì”. E lui: “Semmai dovesse capitarmi qualcosa, colleghi quello che mi succederà all’incontro di questa mattina, ma quello che le sto dicendo non lo dica a nessuno”».
MATTARELLA NEL DOCUFILM DI TRIZZETTO
Mattarella, osserva nel docufilm Trizzetto, quel giorno percepì di aver fatto «un passo sbagliato». Ma non comunicò a nessuno, neanche a sua moglie, le sue sensazioni. La fidata funzionaria della Regione tenne fede alla sua promessa fino al giorno dell’omicidio, quando chiese un incontro al fratello di Piersanti, Sergio Mattarella, all’epoca professore universitario. «Mi disse di parlare al capo della Magistratura, scrissi chiedendo di essere ascoltata ma non sono mai stata chiamata da nessuna autorità».
L’ “io narrante” del filmato è Attilio Bolzoni, storico cronista di giudiziaria, esperto di mafia sin dai tempi dell’Ora di Palermo. Sullo sfondo un vulcano, il magma, la lava che, scorrendo, brucia e cancella qualsiasi traccia.
IL FATTORE K
La tesi è che il rapimento di Moro, 16 marzo 1978, l’omicidio di Michele Reina, segretario palermitano della Dc ucciso il 9 marzo 1979, quello di Piersanti e del professor Vittorio Bachelet nell’ottobre 1980 abbiaNo una matrice comune. Una strategia messa a punto da forze eversive per eliminare la componente cattolica favorevole all’ingresso del Partito comunista nel governo. Che dietro ci sia sta la longa manus del faccendiere Michele Sindona, che proprio in quegli anni trovò rifugio in Sicilia, i servizi segreti, la P2, la Gladio, di cui ancora non si sapeva, e la Massoneria.
In una parola sola: il “fattore K”. La tesi è che per portare a termine il loro obiettivo si siano serviti della destra nera e del terrorismo rosso. A sostenerla un coro a più voci. Luciano Violante, ex magistrato, ex presidente della Camera, nonché capo della Commissione parlamentare antimafia dal 1992 al 1994. Di «forze occulte» parlò anche il cardinal Pappalardo, che officiò la celebrazione funebre di Mattarella.
«Fu un biennio cruciale che proseguì con la morte di Vittorio Bachelet – racconta Rosy Bindi, testimone oculare di quell’omicidio eseguito dalle Br – Anni importanti nella storia della Repubblica. Tante volte mi sono chiesta come sarebbe stata la storia del nostro Paese se quel 27 febbraio 1978 Aldo Moro non avesse convinto il gruppo parlamentare Dc a sostenere un governo di alleanza nazionale e a fare l’accordo. Come sarebbe stata la storia della Sicilia e del Sud: Mattarella era l’erede privilegiato della strategia morotea che avrebbe continuato a portare avanti».
Per Bindi, Moro, Piersanti e Bachelet, vicepresidente del Csm, morirono per la loro «collocazione geopolitica», furono «tre martiri». Due anni dopo, il 30 aprile del 1982, fu assassinato in una strada di Palermo anche Pio La Torre, primo firmatario della legge sulla confisca dei beni, svelando il forte intreccio tra mafia e politica.
L’INDAGINE MAI PARTITA
La strage di Bologna del 2 agosto 1980 è il frutto della strategia della tensione, volta a fermare le grandi riforme degli anni ‘80. Del “magma”, di logge massoniche, terrorismo di destra e terrorismo rosso, parla nel docufilm anche Pino Arlacchi, ex senatore ed ex vice segretario Onu: «La Gladio aveva licenza di uccidere».
Un capitolo a parte sono i tre processi che hanno portato all’assoluzione dei principali imputati per l’uccisione di Mattarella. A nulla sono servite le testimonianze di Irma Chiazzese, che riconobbe in Giusva Fioravanti l’assassino di suo marito e del pentito Cristiano Fioravanti. Quest’ultimo accusò il fratello dell’omicidio salve rifiutarsi di ripetere quelle accuse in aula: «Intendo – scrisse ai giudici – avvalermi della facoltà di non rispondere, anche se riconosco integralmente tutte le dichiarazioni rese: non ho più la forza fisica e psichica per continuare nelle accuse a mio fratello subendo tutte le conseguenze di carattere morale e affettivo connesse a questa mia scelta che mi è costata già un prezzo altissimo».
Assolto anche il presunto complice Gilberto Cavallini. Nessun mafioso fece il nome dei due terroristi. E, per assurdo, la mancata accusa da parte dei pentiti di Cosa Nostra fu portata come elemento a discolpa, la prova regina della loro innocenza. Un’indagine parallela sulla morte del fratello del nostro presidente della Repubblica non è mai partita. Quarantacinque anni dopo.
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