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Sabino Cassese

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SPUNTA un documento sottoscritto da eminenti costituzionalisti, i “saggi” che non si riconoscevano nella relazione finale del Clep, il Comitato tecnico per la definizione dei Lep nominato dal governo e presieduto dal professor Sabino Cassese. Chiesero di emendarla e di sopprimere alcuni punti senza ottenere però alcuna risposta. A firmarlo furono Massimo Luciani, Francesco Saverio Marini, Maria Alessandra Sandulli, Vincenzo Tondi Della Mura, Giuseppe Verde, Fabio Elefante, Michele Belletti, Enrico La Loggia e Marco Esposito. Il fior fiore dei costituzionalisti e affermati professori di diritto amministrativo.

I LEP E LE OSSERVAZIONI DEI “SAGGI” IGNORATE DAL COMITATO CASSESE

Al documento aderirono altri “saggi”. Se fosse stato preso in considerazione, il testo sarebbe stato modificato in modo radicale e avrebbe messo in luce gli altri punti deboli del disegno di legge sull’autonomia approvato dal Senato il 16 gennaio scorso e ora in discussione alla Camera. Descritto come «una grande opportunità per il Sud» è, al contrario, un provvedimento destinato ad allargare la forbice delle disuguaglianze e a spaccare il Paese. Che per il Mezzogiorno quel ddl sia un gigantesco passo indietro lo dimostra, una volta di più, la nota inviata dalla sottocommissione 5 del Clep al presidente Sabino Cassese. Diffusa di chat in chat è arrivata fino a noi. Si elenca una serie di punti e di prescrizioni che sarebbero state ignorate dal Comitato presieduto dal professor Cassese (diventato nel frattempo strenuo sostenitore del federalismo leghista). Nello specifico, i saggi chiedevano al comitato Cassese di modificare il passaggio di pagina 27 in cui si sofferma sulla nozione di Lep che «non sembra essere la necessaria conclusione delle interlocuzioni avutesi in sede plenaria», si legge. Idem per altri punti. Nel passo numero 15, in cui si definiscono sempre i Lep, si chiedeva di aggiungere che «questa era la posizione solo di una componente». E via di seguito.

L’identificazione di certe materie come “non Lep” sarebbe stata, dunque, per una parte dei componenti del Comitato Cassese «assolutamente arbitraria» e va da sé che per i saggi l’assenza di una definizione «solida e condivisa» della nozione di Lep era un passaggio strategico, non un semplice artificio retorico. A sostenerlo sono autorevoli esponenti del Clep. Ma di questo dissenso non v’è assolutamente traccia. Delle loro riserve e delle loro osservazioni non si è tenuto conto.

Le osservazioni sono precedenti alla relazione pubblicata alla fine dei lavori, che sarebbe stata licenziata senza emendamenti e senza il consenso di tutti i saggi. Stessa sorte toccata ad altri documenti prodotti durante le audizioni in commissione Affari costituzionali in Senato da Bankitalia o dal rappresentante dell’Ufficio di bilancio parlamentare.

LA GRANDE FUGA DAL COMITATO CASSESE

A questo punto è necessario fare un passo indietro. Ricordare che il Clep è stato istituito dal Consiglio dei ministri il 23 marzo del 2023: 61 saggi nominati per fissare quali delle 23 materie potenzialmente oggetto di devoluzione sono – per così dire – “leppizzabili”, ovvero quantificabili in termini di risorse per garantire su tutto il territorio nazionale gli stessi diritti civili e sociali. Dopo un reciproco scambio di dossier, dal Clep si dimisero nel luglio scorso quattro pezzi da 90: Giuliano Amato, ex presidente del Consiglio, Franco Bassanini, ex ministro delle Finanze, Franco Gallo, anch’egli ex ministro delle Finanze nel governo Ciampi, e Alessandro Pajno, ex presidente del Consiglio di Stato. Profili altissimi, dunque. La loro uscita fu un colpo durissimo per la credibilità del Comitato tecnico e dello stesso Sabino Cassese che decise però di andare avanti.

I quattro dimissionari motivarono la loro decisione in una lettera inviata al ministro degli Affari regionali, Calderoli. Il suo disegno di legge avrebbe trattato «forme e condizioni particolari di autonomia da attribuire alle Regioni», come previsto dall’articolo 116, ma riguardanti specifici compiti e funzioni, non intere materie. Il ministro leghista intendeva procedere a piccoli passi: per esempio escluse trasferimenti di competenze e funzioni in materia di istruzione. I quattro “dissidenti” capirono sin dall’inizio dove Calderoli voleva andare a parare e si fecero da parte. I saggi scrissero una lettera per spiegare il passo indietro, avvertirono che il comitato Cassese prima di attribuire «nuovi specifici compiti e funzioni ad alcune Regioni con le corrispondenti risorse» avrebbe dovuto individuare i Lep attinenti all’esercizio dei diritti civili e sociali. Ma non condivisero l’interpretazione estensiva dell’autonomia regionale. Autonomia che nelle intenzioni dei padri costituenti avrebbe dovuto riguardare solo specifici e limitati compiti e funzioni. Pajno, in particolare, fece notare come fissare un termine di 6 mesi per determinare i Lep – come previsto nella legge di Bilancio 2023 – fosse una operazione impraticabile. Può una commissione tecnica determinare in 180 giorni i diritti civili e sociali degli italiani?

Come andarono i fatti lo sappiamo. Cassese perse pezzi per strada, ma andò avanti. Conclusa la missione, incassò i ringraziamenti del governo e quelli personali del ministro Calderoli. Oggi emerge però un’altra verità: quelle dimissioni furono il frutto del metodo-Cassese? Vi fu una forzatura per imporre una relazione non condivisa?

IL COMITATO CASSESE E LA PROPOSTA, RESPINTA, DI DE LUCA

Fin qui le domande. Il resto è storia di oggi. L’accelerazione impressa da Calderoli; il patto per portare avanti in contemporanea il disegno di legge sul Premierato; i “fatti” di via del Corso, i sindaci della Campania spintonati dalla polizia; la marcia su Roma del presidente della Campania, De Luca, con insulto (gratuito) alla premier Meloni segnano al tempo stesso un’escalation e un punto di non ritorno. Un pessimo spot per il ministro e per la sua autonomia differenziata accolta a Palazzo Madama con ampio sventolio di vessilli. Chi sin dall’inizio si era mostrato scettico sul Clep fu proprio quello che oggi viene definito “il nuovo Masaniello”, il governatore campano Vincenzo De Luca. «Leggendo i nomi – commentò – si ritrovano personalità di indiscusso valore nel proprio campo di attività, che per la maggior parte dei designati ha poco a che fare con i Lep. In ogni caso, si tratta non di un gruppo di lavoro, ma di un sinedrio. E considerato il fatto che per riunire una commissione di concorso di 5 docenti universitari si impiegano in media 3 mesi, è prevedibile che il nominato sinedrio potrà riunirsi in seduta plenaria ogni 10 anni, se va bene». De Luca propose di affidare l’incarico all’Ufficio parlamentare di bilancio. Ma la richiesta, fatalmente, fu respinta al mittente.


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