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Giorgia Meloni in parlamento

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La premier Giorgia Meloni attacca il Manifesto di Ventotene sull’Europa che propugna il federalismo europeo e provoca la bagarre. Duro intervento di Federico Fornaro


Lei sorride soddisfatta, ha appena fatto a pezzi (ci ha provato) il manifesto di Ventotene dicendo con disprezzo “non so voi, ma questa non è la mia idea di Europa” e s’è buttata sullo scranno presidenziale con la faccia di chi è ben contenta di aver sganciato la bomba e ora si vuol godere lo spettacolo. I ministri Crosetto e Tajani, che le siedono accanto sulla destra, hanno facce un po’ meno soddisfatte: come glielo spiega oggi Tajani a Bruxelles ai colleghi del Ppe che la sua capa ha dileggiato un documento fondativo dell’Unione europea?

Dai banchi di Pd, Avs, Iv e Azione esplode la rabbia. “Non si può dileggiare la patria e la costituzione nati da quei rivoluzionari e da quel Manifesto” ha attaccato Grimaldi (Avs). Ma è stato Federico Fornaro, mangiando lacrime di rabbia, a dire a Meloni: “Si vergogni (ripetuto tre volte, ndr) Presidente, e smetta di ridere, avete oltraggiato la nostra storia, la resistenza e l’antifascismo, le ragioni stesse della nostra democrazia e di questo Parlamento”. Se la gode da lontano, impegni a Bruxelles, Matteo Salvini a cui si dice sia stato dedicato sotto sotto lo squallido, cinico e disonesto show di Ventotene. Il prezzo da pagare per tenere buono l’alleato che ieri ha continuato ad alzare l’asticella mettendo in chiaro che la premier “non ha il mandato a votare il ReArm Eu”?

VENTOTENE, MELONI E L’AGGUATO A FREDDO AGLI AUTORI DEL MANIFESTO SULL’EUROPA UNITA

Può essere. Ma c’è molto di più nell’agguato a freddo che Giorgia Meloni ieri ha riservato ad Altero Spinelli. Ernesto Rossi e Eugenio Colorni (ammazzato poi nel 1944 a Roma dalla famigerata banda Koch) che nel 1941, internati al confino di Ventotene dal regime fascista scrissero il Manifesto per un’Europa libera e unita. Si ritrova, in questa operazione, la stessa cifra della demolizione di principi e valori fondativi che il trumpismo con tutte le sue facce, da Musk a JD Vance, cerca di esportare in Europa distruggendo la stessa Europa. Da due mesi chiediamo alla Presidente del consiglio di scegliere fra gli Usa e l’Europa. O meglio, fra Trump e l’Unione europea. Ieri mattina, nella replica delle comunicazioni alla Camera in vista del Consiglio europeo e prima dell’attacco al manifesto di Ventotene, la premier ha risolto la questione: “Sto con l’Italia”, cioè con chi le dà il voto.

TRUMP E L’UCRAINA

E ha fornito numerosi indizi circa il suo posizionamento con Trump. Sui dazi ha ribadito che “ingaggiare una battaglia di rappresaglie non è la cosa migliore”. Più saggio, probabilmente, attendere in silenzio che Trump faccia partire le nuove tariffe e sperare, nel frattempo, in qualche trattativa bilaterale. Sulla guerra in Ucraina ha qualificato come “primissimo spiraglio” di pace le telefonate fra Trump e Putin mentre Mosca continua a bombardare quelle strutture energetiche che si era impegnata, poche ore prima, a preservare come impegno di una tregua.

L’unica concessione che Meloni ha fatto, in relazione all’Ucraina, è che “tutta la questione si gioca sulle garanzie di sicurezza”, ovvero Mosca deve accettare una missione militare a tutela della pace. Dopo di che, ha chiarito che la proposta di Macron e Starmer “non vanno bene”: peccato sia, insieme ai pacchetti di nuove sanzioni e nuovi aiuti militari a Kiev decisi dalla Commissione, l’unico argine all’attuale svendita che Washington sta facendo di tre anni di resistenza ucraina.

IL NODO DELLA DIFESA EUROPEA E DELL’ESERCITO UNICO EUROPEO

“Non vogliamo cedere sovranità all’Europa, non vogliamo un esercito europeo”: ecco con quale mandato, dietro il vuoto cosmico della risoluzione di maggioranza scritta sotto dettatura della Lega, oggi Meloni arriva a Bruxelles. Anche il Piano ReArm Ue, braccio finanziario del Libro bianco della difesa che ne è la declinazione operativa, non va bene alla premier (come alle opposizioni del resto) eppure è già stato licenziato, nella sua cornice, il 6 marzo. O meglio, sarà un piano di Sicurezza e Difesa per cui non sarà necessario comprare solo armi ma investire in infrastrutture digitali e satellitari per costruire un sistema comune di difesa. Un concetto già chiaro e assodato per tutti coloro che dal 6 marzo hanno voluto leggere in buona fede i documenti e non affidarsi a qualche post.

Ma sono stati gli ultimi due minuti di questa due giorni di comunicazioni al Parlamento, tutto sommato istituzionali, a rendere plastico ciò che era ancora incerto. Meloni è partita dalla ricca e partecipata manifestazione per l’Europa di sabato scorso a Roma. Una piazza ostile al governo. E ha usato il Manifesto di Ventotene distribuito quel giorno per attaccare a freddo e strumentalizzare la resistenza e la visione federalista di tre intellettuali detenuti (Spinelli, Rossi e Colorni) che in pieno regima nazifascista immaginarono la via d’uscita da quell’orrore con un ‘Europa libera e unita. A Spinelli è dedicata una delle sale più importanti dell’Europa building.

L’AFFONDO DI MELONI SUL MANIFESTO DI VENTOTENE SULL’EUROPA FEDERALE UNITA

La premier ha così letto cinque frasi totalmente fuori contesto. Ne diamo un paio: “ La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso”. La seconda: “Nelle epoche rivoluzionarie in cui le istituzioni debbono essere create, la prassi democratica fallisce clamorosamente””. La terza: “La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria”. La quarta: “Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo Stato e attorno a esso la nuova democrazia”

Sarebbe bastato leggere dieci righe invece di tre per dare il reale senso di quei passaggi del Manifesto. Ad esempio queste che sono l’incipit del terzo capitolo: “Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era farà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza e i privilegi sociali”.

Da quel momento l’aula è andata fuori controllo. Le opposizioni gridavano alla premier “vergogna”, “s’inginocchi”, “chieda scusa”. Lei sorrideva. “Ma basta con ‘sto fascismo” urlava il capogruppo Galeazzo Bignami, colui che si travestì da gerarca fascista, appunto. Il presidente Fontana ha dovuto sospendere l’aula e rinviarla. Meloni se n’è andata, e non è più tornata, al tradizionale pranzo al Quirinale. Possiamo immaginare che il presidente Mattarella, convinto europeista, non sia stato fiero di questa performance. Freddata l’emozione, Fornaro ha spiegato: “Non è accettabile fare la caricatura degli uomini protagonisti del Manifesto di Ventotene che non è l’inno della dittatura del proletariato come sostiene Meloni ma il suo esatto contrario, l’inno dell’Europa federale contro i nazionalismi che sono stati il cancro del Novecento”. Se non si può definire fascista, quella di ieri è stata una provocazione sporca e disonesta.

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