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Con questa motivazione surreale il ministro dell’Interno ha risposto ieri in Senato sul provvedimento di rimpatrio in Libia di Najem Osama Almasri
«Il cittadino libico era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso dalla Corte penale internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per tutelare la sicurezza dello Stato e dell’ordine pubblico».
Con questa motivazione, vagamente surreale, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha risposto – o meglio: non ha risposto – ieri in Aula, al Senato, al question time sul provvedimento di rimpatrio del generale Osama al Najem, meglio conosciuto come Almasri. Data la sua pericolosità è stato liberato.
LA TESI DI PIANTEDOSI
Per assurda che possa sembrare, è questa la spiegazione data dal ministro, che si è detto disponibile a fornire ulteriori dettagli la prossima settimana con una informativa del governo. Dal momento che l’arresto del capo della polizia libica, sul quale pesa l’accusa di traffico di essere umani, stupri e torture, non è stato convalidato dalla Corte d’Appello di Roma, «l’espulsione – ha sostenuto il ministro – è stata la misura più appropriata ai sensi dell’articolo 13, comma 1 del Testo unico in materia di immigrazione, anche per la durata del divieto del reingresso».
Se la risposta all’interrogazione doveva chiarire tutti gli aspetti di questa vicenda, possiamo dire che – al contrario – li ha resi ancora più oscuri. Da una parte, infatti, si cerca di scaricare sui giudici la responsabilità della scarcerazione, dall’altra si tira in ballo l’autonomia della magistratura che ha deciso di rimettere in libertà Almasri in base alla mancata richiesta del ministro di Grazia e giustizia, Carlo Nordio. Poco più di un cavillo.
Osama al Najem era stato arrestato dalla Digos domenica 19 gennaio all’alba, a Torino, in esecuzione di un ordine d’arresto emesso dalla Corte penale europea dell’Aia il giorno prima e diffuso in sei Stati europei. Prima di entrare in Italia era transitato tranquillamente in Germania.
A Torino, il giorno prima di essere arrestato, era stato allo stadio per assistere alla partita Juventus-Milan. Un tifoso come altri. Neanche il tempo di tradurlo nella Casa circondariale Lorusso e Cutugno ed ecco che, 48 ore dopo, Almasri, per i giudici europei uno spietato torturatore, era a bordo di un Falcon 900 partito da Roma Ciampino alle 11.45 del 21 gennaio. A Tripoli è stato accolto in modo trionfale, sbeffeggiando anche gli italiani che lo hanno rimesso in libertà, come si vede dai video diventati in pochissimo tempo virali sul web.
OPPOSIZIONE SCATENATA
Un rimpatrio lampo, quello di Osama, per evitare, sostiene l’opposizione, un incidente diplomatico. Ma non lo dice solo l’opposizione: in uno slancio di verità lo ha ammesso anche l’europarlamentare di FdI, Nicola Procaccini. Mentre il ministro degli Esteri Antonio Tajani chiarisce: «Non siamo sotto scacco di nessuno».
Un grafico dimostrerebbe tuttavia come in quelle poche ore che il capo libico, ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità, abbia trascorso in carcere le ore in cui gli sbarchi dalle spiagge libiche hanno subito un’impennata, salvo precipitare e tornare alla normalità alla notizia che l’uomo era stato liberato.
Va da sé che la spiegazione del ministro non è piaciuta all’opposizione. «La vicenda della scarcerazione di Almasri è di una gravità inaudita, una ferita alla dignità e all’onore del nostro Paese – è insorta la senatrice dem Sandra Zampa – ha colpito e ferito l’opinione pubblica italiana che ha dovuto assistere alle festanti urla di gioia al rientro a Tripoli di un criminale torturatore e ora sottoposta agli sberleffi contro gli italiani sui social. La cronologia dei fatti parla da sola. La certezza è che tra sabato e martedì mattina sono successe cose negate e tenute nascoste. Non si è verificato un errore procedurale che poteva essere facilmente corretto, non si tratta di un errore nel mandato di arresto, ma di una decisione politica assunta dal governo ai suoi vertici più alti».
RIPERCUSSIONI EUROPEE
Il 21 gennaio la Corte d’appello di Roma ha dichiarato il non luogo a procedere considerando l’arresto «irrituale». Il governo riferirà la prossima settimana, chiarendo anche la tempistica. Ma soprattutto dovrà farlo con la Corte penale dell’Aia, il cui statuto è stato scritto proprio a Roma.
«Quello che dovrà spiegare – ha affondato il colpo la senatrice Zampa – è perché un criminale colpevole di torture, stupri e violenze non sia stato semplicemente scarcerato, ma riportato a casa con un aereo di Stato. Si poteva scarcerare, tenerlo a disposizione in libertà vigilata e sanare l’errore, ma evidentemente – ha concluso – la caccia ai trafficanti di migranti per il globo terracqueo promessa dalla Meloni è impraticabile in Italia».
Tutto lascia pensare che il “caso” non finirà qui e potrebbe avere ripercussioni europee. L’articolo 86 del Trattato di Roma obbliga gli Stati a cooperare nelle azioni giudiziarie che la Corte penale internazionale svolge sui crimini sui quali ha giurisdizione. Non escludono sanzioni, ma più delle sanzioni sono i contraccolpi politici a preoccupare Palazzo Chigi. «Perché il mandato di arresto è scattato solo quando il capo libico ha varcato il confine italiano? Chi ha tramato per scaricare sul nostro Paese un’altra patata bollente? Sono alcune delle domande che rimangono ancora in sospeso». De Cristoforo, senatore Avs: «Siamo esterrefatti dalla risposta del ministro Piantedosi: la Meloni venga in Aula».
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