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A pochi giorni dal passaggio di consegne sul nuovo comandante dei Carabinieri è scontro nel Governo tra Crosetto, che sostiene Luongo, e Mantovano, che appoggia Cinque
La nomina del nuovo comandante generale dell’Arma dei carabinieri potrebbe diventare un turning point della legislatura. Non si parla di crisi di governo ma di un rimpasto importante tra i più stretti collaboratori della premier.
La storia corre nei capannelli e tra i divanetti di Montecitorio tra un mercoledì, due giorni fa, in cui per la nona volta il Parlamento non è riuscito a eleggere il quindicesimo giudice della Corte costituzionale, posto vacante da un anno e per cui il capo dello Stato si è speso più volte con appelli all’equilibrio tra i poteri. E un giovedì sonnacchioso con le votazioni di uno dei tanti decreti in scadenza da qui a Natale. Con la legge di Bilancio nel mezzo.
Dunque, giornate un po’ così, in cui si immagina il futuro e si commenta il quotidiano. Tra i dossier apparecchiati c’è quello relativo alla nomina del nuovo comandante generale dell’Arma, il successore di Teo Luzi che lascerà l’incarico il 13 novembre. Alla caserma D’Aquisto fervono i preparativi per il cambio della guardia che sarà, come sempre, solenne e maestoso. Rischia però di essere una cerimonia senza onori e col posto “vuoto” perché il governo bisticcia sul successore. Ebbene sì, come già era successo per la Guardia di finanza.
IL GOVERNO E LA VICENDA DEL NUOVO COMANDANTE DEI CARABINIERI
La terna dei candidati, a detta di tutti gli analisti, raggruppa le eccellenze dell’Arma, i generali cresciuti quando i Carabinieri sono diventati la quarta forza armata (1999) con Esercito, Marina, Aeronautica e con tutte le responsabilità, gli onori e anche gli oneri di quel passaggio storico. In pole c’è Salvatore Luongo, 54 anni, attuale numero 2; Mario Cinque, attuale Capo di stato maggiore; Riccardo Galletta, attualmente alla guida del Comando Pastrengo, nel nord Italia. Non circolano altri nomi.
Ora, detto e ripetuto che sono tutti alti ufficiali con il pedigree in ordine e anche di più, il problema è che il ministro della Difesa, Guido Crosetto, “vuole” Luongo, mentre il sottosegretario Mantovano preferirebbe Cinque perché immune, a suo dire, da un problemino che Luongo si porta dietro: nel lungo cursus honorum al ministero della Difesa (dove è stato fino a maggio 2023) è stato anche capo del legislativo dell’allora ministra Roberta Pinotti del Pd. Un dettaglio che non ha disturbato, per esempio, la ministra Trenta nel governo giallo-verde e neppure Crosetto quando è arrivato in viale XX Settembre, perché Luongo, a detta di tutti, è un fuoriclasse del diritto.
IL NODO DELLA COLLABORAZIONE PD INSUPERABILE PER MANTOVANO
Ma questa “collaborazione Pd” nella carriera del generale sembra essere insuperabile per il sottosegretario Mantovano, che ha già puntato le sue fiche su Cinque. Mantovano è il magistrato che Giorgia Meloni ha voluto al suo fianco per affidargli i rapporti con la magistratura (pessimi in questo momento), i rapporti con la sicurezza e le agenzie di intelligence. Oltre che con il Vaticano.
Diciamo che la premier, che ha tendenza a occuparsi di tutto in prima persona, sulle materie di giustizia e sicurezza si fida ciecamente del sottosegretario, che non c’entra nulla con il giro di Colle Oppio e il Signore degli anelli e per questi motivi è anche un po’ inviso ai fedelissimi.
Il problema sembra di per sé di facile soluzione. Comunque ben lontano da creare problemi strutturali all’architettura dell’Esecutivo. Ma non è così, perché non è la prima volta che Crosetto e Mantovano si trovano sui lati opposti del campo di gioco. Era metà settembre quando, tra gli effetti collaterali dell’inchiesta di Perugia sui dossieraggi alla Procura nazionale antimafia, venne fuori che il ministro della Difesa – che quell’inchiesta ha provocato denunciando il denunciabile senza fare sconti a nessuno, servizi segreti compresi – aveva avanzato dubbi proprio sull’Aise, l’agenzia che si occupa di estero.
In più di una occasione, ha detto Crosetto in un verbale con il procuratore di Perugia Raffaele Cantone, l’agenzia «non ha garantito il passaggio di informazioni che avrebbe potuto anche creare problemi alla sicurezza nazionale». Quel giorno il sottosegretario Mantovano espresse subito la fiducia al direttore dell’Aise, Gianni Caravelli. Fu una domenica infernale a palazzo Chigi. L’incidente è rimasto “congelato” con una lunga deposizione di Crosetto davanti al Copasir rimasta ovviamente segreta.
I RETROSCENA DIETRO LA NOMINA DA PARTE DEL GOVERNO DEL NUOVO COMANDANTE DEI CARABINIERI
Alcuni retroscena bene informati raccontarono, dopo quello scontro, che Crosetto aveva rallentato le frequentazioni a palazzo Chigi e anche le sue presenze in Consiglio dei ministri. Tutto smentito. Tutto probabilmente vero.
La nomina del nuovo comandante dell’Arma potrebbe riaccendere la tensioni tra i due. Prassi vuole che sia il ministro della Difesa a proporre al Consiglio dei ministri il nome del nuovo comandante. Crosetto lo ha già fatto e “in busta” ha messo il nome di Luongo. Il titolare della Difesa era pronto anche nell’ultimo Cdm per ufficializzare la cosa e arrivare così a un passaggio di consegne “ordinato”.
Anche Mantovano, però, tira dritto e insiste su Mario Cinque sapendo, in questo modo, di infliggere al ministro della Difesa un’umiliazione gratuita, visto che il curriculum di entrambi i generali è inappuntabile e senza dubbio questa nomina è in carico a XX Settembre.
A favore di Cinque ci sarebbe anche un “rapporto solido” con Luzi, favorito dal fatto che è diventato capo di stato maggiore dei Carabinieri nel 2021 subentrando proprio a Luzi. «Stai a vedere che alla fine tra i due litiganti il terzo vince…» riflettevano l’altro giorno alcuni deputati della maggioranza, preoccupati più da eventuali nuove tensioni tra Crosetto e Mantovano che da chi diventerà Comandante, visto che «quei tre sono tutti ottimi ufficiali».
GIORGIA MELONI DOVRÀ TROVARE UNA SINTESI
Alla fine dovrà essere Giorgia Meloni a trovare la sintesi. Il tempo è poco, il 13 novembre è dietro l’angolo, un paio di Consigli dei ministri. Sarebbe sgradevole se si ripetesse nuovamente quanto è già successe ai vertici della Guardia finanza oltre un anno fa: Zafarana lasciò (andò in pensione per sopraggiunti limiti di età) ma nessuno prese il suo posto. Il governo litigava su De Gennaro che poi fu nominato, ma senza ricevere gli allori e il prestigio dell’incoronazione nella cerimonia pubblica.
Ora, il punto è che questa ennesima tensione potrebbe provocare un abbastanza clamoroso effetto a catena. Il sottosegretario Mantovano sarebbe abbastanza stufo di tensioni e guerre intestine. Sta cercando una via d’uscita che lo potrebbe portare in via Arenula, dove nel frattempo il ministro Carlo Nordio, anche lui stanco delle tensioni sulla giustizia, sull’immigrazione, sulla cybersicurezza, potrebbe trovare un’ottima via d’uscita andando alla Corte costituzionale dove, per l’appunto a dicembre, si aprono ben quattro posti. Chiacchiere. Tutte chiacchiere. Tranne che il 13 novembre il generale Teo Luzi saluterà dopo tre anni al comando. E che sul successore, a palazzo Chigi, si litiga.
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