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Alla disperata ricerca di un rilancio, Salvini alla Pontida trasforma il pratone in una assemblea sovranista ma dalla Lega qualcuno storce il naso
Il pratone di Pontida è il classico appuntamento annuale con il popolo della Lega. Ci sono sempre grandi aspettative sull’intervento di chiusura del segretario. I sostenitori di via Bellerio desiderano conoscere la linea del partito e i suoi obiettivi. Tanti, da quelle parti, auspicano che il Carroccio ritorni a suonare lo spartito della vecchia Lega, che era antifascista e a tratti sembrava più un contenitore di sinistra. Non a caso, per un certo periodo, c’è stato chi l’ha definita «una costola della sinistra italiana».
ADUNATA SOVRANISTA
Ma tant’è. A Pontida si dibatterà di questo e si comprenderà se prevarrà la posizione sovranista di Salvini o se prevarrà il pragmatismo di alcuni governatori che propugnano un modello di Lega più moderata. Quale sarà allora il destino del partito più vecchio del Parlamento italiano?
Di sicuro, per la prima volta, il popolo di Pontida si ritroverà in un contesto differente. Perché Matteo Salvini ha trasformato Pontida in un’assemblea dei sovranisti. Il leader della Lega sfiderà l’Europa dei tecnocrati, la Ue di Ursula von der Leyen, il Green deal, e rilancerà tutte le storiche battaglie della narrazione salviniana.
Ci saranno Viktor Orbán, l’olandese Wilders, il portoghese Ventura. Marine Le Pen forse si collegherà. Insomma, tutti i patrioti in giro per l’Europa. E lui, il diretto interessato, farà gli onori di casa cercando di mettersi alla tolda di comando di questo gruppo che può sconquassare gli equilibri europei. «Per la felicità di Meloni e Tajani» ironizzano in Transatlantico.
Ecco perché Salvini ha inviato una lettera al popolo della Lega che recita: «Domenica non sarà una giornata come le altre, una Pontida come le altre. Domenica sarà una giornata importante, non tanto per gli ospiti e le tv che arriveranno da tutta Italia e da tutto il mondo, ma soprattutto perché il tuo sostegno e la tua presenza mi daranno quella forza che mi accompagnerà fra qualche settimana in quel tribunale, dove a rischio non c’è tanto la mia libertà, quanto la libertà di fare politica, di governare e amministrare, di vivere in un Paese davvero libero, autonomo e democratico».
Per Salvini, una prova di forza
Per Salvini si tratta di una prova di forza: invoca la massima mobilitazione, anche perché desidera inviare un segnale oltre i confini italiani e, sotto traccia, intende rilanciare la sua leadership. Ecco perché, subito dopo, ha chiesto un ulteriore aiuto a tutto il gruppo dirigente: «Caro assessore, caro consigliere, caro militante. Ti aspetto a Pontida domenica. Pochi giorni dopo, a Palermo, i giudici stabiliranno se condannarmi o meno a sei anni di carcere per aver fermato gli sbarchi. Capisco che per un sindaco e un amministratore anche la domenica sia piena di impegni sul proprio territorio, ma domenica sarà l’occasione di dimostrarsi uniti, compatti e determinati».
Il sogno di Salvini è riportare la Lega in doppia cifra. Si è messo in testa che l’operazione è ancora possibile a una condizione: fare il controcanto di Giorgia Meloni e di FdI. I numeri dicono che oggi la Lega oscilla fra l’8 e il 9%, troppo poco per potersi sedere al tavolo delle trattative in Europa da una posizione di forza.
La parola che ripete con più insistenza in queste ore è «coerenza», quasi a voler rimarcare le giravolte compiute in questi due anni di governo dalla premier. Tutto questo per ingraziarsi la pancia del Paese, consapevole che gli insoddisfatti oggi si annidano anche nel centrodestra e tra le fila dell’elettorato di Meloni.
IL VERO OBIETTIVO
In questo contesto, Salvini se la dovrà vedere con lo storico gruppo dirigente della Lega, con i governatori del Nord che mal gradiscono la deriva sovranista e con gran parte del tessuto produttivo che vorrebbe una postura diversa rispetto all’Europa. Gli stessi credono che siano sbagliati i toni del generale Vannacci, ormai icona del neoleghismo, e che tutto questo possa portare all’isolamento. Ecco perché in tanti sospettano che storceranno il naso davanti alla sfilata di leader sovranisti.
Salvini, però, farà finta di nulla. Il suo vero obiettivo è continuare a recitare la parte del guastafeste, di chi vuole cambiare gli equilibri in Europa. Auspicando – anche se non lo dice espressamente – che il centrodestra torni a trazione leghista. Non ha, insomma, accantonato il progetto di Lega nazionale. E non ha nemmeno accantonato l’idea di poter essere lui il faro della coalizione. È convinto di poter riconquistare l’elettorato del sud con una grande opera come il Ponte sullo Stretto e con il potenziamento della linea ferroviaria.
A proposito di treni, il blocco dei trasporti ferroviari gli si è ritorto contro. L’opposizione gli ha chiesto di riferire in aula e ha invocato le sue dimissioni. E il segretario confederale della Cgil, Pino Gismundo, ha rincarato la dose: «Il ministro dei Trasporti ha dimostrato di non essere in grado di farlo, meglio che si occupi di nonni e passi il tempo a postare sui social».
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