Beppe Sala
4 minuti per la letturaIl sindaco di Milano Beppe Sala capofila delle grandi città contro lo Spacca-Italia ossia l’Autonomia differenziata: «È un danno anche per il Nord»
A dare la sveglia ai sindaci italiani ci ha pensato Beppe Sala. Ha scritto una lettera al Corriere della Sera per dire che “l’autonomia è un danno anche per il Nord del Paese”. Più che una lettera è un appello. Non è il sindaco di un piccolo centro del Mezzogiorno o da una comunità montana sperduta nell’entroterra. Ma di Milano. Un colpo basso per i leghisti di ieri e di oggi che da sempre inseguono il sogno di sventolare la loro bandiera su Palazzo Marino.
Milano capofila delle grandi città nella battaglia contro lo Spacca-Italia? Si. A molti può sembrare un paradosso ma è la conferma che la realtà spesso va al di là di qualsiasi immaginazione. Il primo cittadino, l’amministratore di una metropoli che un tempo veniva definita “Capitale morale”, centro nevralgico della Lombardia, regione locomotiva d’Italia, che definisce la legge leghista del ministro Roberto Calderoli “squilibrata e iniqua”.
E Sala non si ferma qui allarga il discorso, fa un bilancio del regionalismo italiano, si chiede: “E’ stato un successo”? “Non ne sono per niente certo – la sua risposta – si tratta di istituzioni che, soprattutto, non sempre sono state in grado di affievolire i divari in termini di qualità della vita, innalzando, piuttosto, criticità note a tutti nei settori che riguardano economia, lavoro, trasporti, sanità, welfare”. “Ora – continua il suo ragionamento Sala – si pensa ad un potenziamento del decentramento: saranno in grado le regioni di garantire un percorso di miglioramento nell’erogazione dei servizi ai cittadini in mancanza di un prerequisito fondamentale per poterlo fare, cioè le risorse economiche?”.
Domanda fondata visto che uno dei presupposti dello Spacca-Italia – non piace questa definizione al ministro Calderoli ma se ne faccia una ragione – è l’invarianza di bilancio. Sala pone l’accento su un’altra questione che i suoi colleghi non hanno sufficientemente preso in considerazione: l’ampiezza delle materie che verrebbero devolute alle regioni. Ambiente, trasporti, tributi, commercio con l’estero etc, etc. Funzioni sottratte alla gestione dei sindaci. Immaginate, ad esempio, il primo cittadino capitolino che prende ordini dal presidente della Regione Lazio in materia di Protezione civile.
L’inquilino del Campidoglio ha gli stessi poteri del sindaco di Albano (un esempio come un altro), puoi ampliarli solo ogni 25 anni, quando il governo lo nomina commissario speciale per le opere del Giubileo. Per intenderci: Gualtieri sveste i pani di Clark Kent e si trasforma in Superman solo se si apre la Porta Santa.
Da qui la conclusione, “una riforma dell’autonomia e del decentramento, fa notare ancora Beppe Sala, che aumenta il divario non solo tra regione e regione ma tra regioni e grandi città, nasce già cariata”. Si obietterà che è del Pd e parla dunque da uomo di parte. Noi pensiamo invece che la sua non sia una posizione ideologica. Sala parla da amministratore, da primo cittadino. E vorremmo che nella scia del sindaco di Milano prendessero una posizione più netta anche quei suoi colleghi che indossano la fascia tricolore a Firenze, Napoli, Bologna, Genova, Torino, Bari, Reggio Calabria, Salerno, Perugia, etc, etc. Una sollevazione dei campanili più alti per dire “no” all’Italia differenziata.
Restando in tema di desideri, ne avremmo un altro: che la Cei non venisse lasciata sola in questa battaglia. Che è – ricordiamolo – innanzitutto contro le disuguaglianze. Dopo la discesa in campo del presidente della Conferenza episcopale, Matteo Zuppi e le frasi di monsignor Francesco Savino, il suo vice, che ha definito l’autonomia leghista “un percolo mortale, un vero attentato alla solidarietà e all’unità del Paese”, è arrivato il giudizio severo dell’arcivescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia per il quale “le normative creeranno regioni e dunque cittadini di serie A e di serie B”.
Zaia e Calderoli non hanno gradito Loro rilasciano in media un’intervista al giorno (ma non a questo giornale finito nella black list della Lega) per contrastare le tesi dei promotori del referendum e del mondo cattolico. Per tutta risposta c’è chi, più realista del re, ha già indossato l’elmetto e sparato ad alzo zero contro il Pontificato di Papa Bergoglio. L’accusa è di non aprire le porte degli ex seminari ai migranti e di averli trasformati in hotel. Tutto lascia pensare che sia solo l’inizio di una controffensiva in larga scala.
Ai tempi di Umberto Bossi, il Senatùr che da ieri ci ha lasciato, un leghista che aveva il senso della realtà e poco in comune con i suoi successori, non sarebbe mai successo. Chi ha paura del referendum? Chi teme il giudizio dei cattolici? E’ dai tempi della Dc che gli input d’Oltretevere non si traducono in consenso elettorale. Senza dire che la battaglia contro lo Spacca-Italia ha già abbastanza argomenti per contrastare questa abborracciata riforma di impronta leghista. Se poi certi valori assoluti del mondo laico diventano un punto d’incontro tanto meglio. Si può vincere e restare uniti e ricevere al tempo stesso la benedizione apostolica.
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