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Il successo da Nord a Sud della raccolta di firme per il referendum contro l’autonomia differenziata che spaccherebbe l’Italia

«UNA equa ripartizione del malessere, non del benessere»: questa l’accusa del governatore Luca Zaia al successo che si profila nella raccolta delle firme per un referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata, voluta con grande determinazione e portata avanti con la forza propulsiva di un bulldozer, che non ha conosciuto ostacoli, da Roberto Calderoli, ormai maestro conclamato di leggi da “porcile”. Adesso l’accusa dello stesso governatore del Veneto è che, con il referendum, si spacca l’Italia, dimenticando che cosa recitavano i quesiti ai quali sono stati chiamati i cittadini veneti proprio dal governatore. In particolare il secondo: «Vuoi che una percentuale non inferiore all’ottanta per cento dei tributi pagati annualmente dai cittadini veneti all’Amministrazione centrale venga utilizzata nel territorio regionale in termini di beni e servizi?».

Ma anche gli altri quesiti ponevano l’accento sempre sui tributi. Altro che efficienza. Qui si chiedeva, parlando alla pancia dei veneti, se volevano tenersi più soldi, pagare meno tasse, uscire da un sistema nazionale che li costringeva ad aiutare «i cialtroni meridionali», nullafacenti, mandolinari, pizzaioli e poltronari.

IN ITALIA LA FUGA DEL NORD CON IL MALLOPPO DEL SUD

E adesso si tenta di camuffare quella che è una vera e propria “fuga con il malloppo” in una richiesta di efficienza amministrativa. Mantenendo la spesa storica, grazie all’autonomia approvata, o addirittura peggiorando la distribuzione delle risorse a favore delle regioni più ricche. Infatti sanno bene i fautori dell’autonomia che se si dovessero distribuire le risorse della fiscalità nazionale, impostata sulla base di un prelievo progressivo, con un pro capite analogo a Sondrio e a Reggio Calabria, si dovrebbero restituire al Sud ogni anno 60 miliardi di euro che, aggiunti ai 20 per l’abbandono di 100mila emigranti formati e, ancora, alle risorse spese dalle Regioni per consentire una sanità adeguata, pagate alle strutture settentrionali, e a quelle della formazione dei ragazzi meridionali nelle università che garantiscono un inserimento nel mondo del lavoro, ovviamente del Nord, si arriva a importi incredibili: oltre 100 miliardi l’anno. Ma i nostri maître à penser, spesso di origine meridionale, continuano a sostenere che non è un problema di soldi.

«Il riscatto del Mezzogiorno non ha molto a che fare con le risorse che a esso vengono destinate, ma con la volontà dei meridionali (anzi, degli italiani) di superare un divario ormai più che secolare» dice l’economista Nicola Rossi, come se le due problematiche non fossero strettamente correlate. Mentre Andrea Giovanardi, esperto di fiducia di Luca Zaia, estremamente infastidito pubblica su X un post che dice: «Gli italiani onesti contro l’autonomia. Gli italiani disonesti a favore» con un umorismo fuori luogo, considerato il ruolo di giocatore e arbitro dello stesso professore, membro del comitato per la definizione dei Lep e componente della delegazione veneta che tratta per l’autonomia.

E Luca Zaia dice ormai, platealmente preoccupato, che il Sud si sta battendo per limitare la libertà dei veneti in un’Italia spaccata tra Guelfi e Ghibellini come nord e sud: «Qui qualcuno si batte perché qualcun altro non possa avere la libertà di governare i propri territori». Il vero tema è che il Mezzogiorno e gli uomini del Sud si stanno affrancando dalla vulgata prevalente, quella che li aveva convinti che erano stati destinatari di un mare di soldi che avevano sprecato, che la responsabilità del loro mancato sviluppo originasse dalla loro incapacità di autogestirsi. E che quindi la responsabilità di essere colonia fosse propria. Con chi devi lottare, se le responsabilità del tuo stato sono addebitabili a te stesso? E probabilmente questo è stato il motivo per cui il Mezzogiorno non ha mai avuto azioni di contrapposizione evidenti nel processo democratico. Tranne, forse, quella che ha visto il Movimento Cinque Stelle arrivare a percentuali importanti. Si è addossata alle popolazioni del Mezzogiorno la responsabilità di non selezionare una buona classe dirigente, non evidenziando che il prevalere della classe dominante estrattiva complice e ascara della vera classe dirigente del Paese, fosse conseguenza di un accordo scellerato che aveva come fine l’utilizzo dei voti di scambio del Sud.

Quella stessa politica prona alle esigenze lobbiste degli interessi forti, l’accordo tra Andreotti e Lima ne è un esempio illuminante, che per una mancata consapevolizzazione e crescita culturale collettiva negli anni è stata eletta nel Sud, grazie a una carenza formativa della scuola che ancora oggi permette una dispersione scolastica del 30%. Sottovalutando, da parte di molti, la responsabilità dello Stato centrale, che ha sempre gestito il ministero della Pubblica istruzione e che consente ancora adesso l’assenza degli asili nido, la mancanza del tempo pieno, e la calamità, già evidenziata, della dispersione scolastica. Adesso quella parte del Nord che si era illusa di poter fare il bello e il cattivo tempo – tanto i meridionali subiscono tutto – è basita per una reazione che finora serpeggiava sottotraccia e che adesso trova, in un momento in cui è possibile manifestare il proprio dissenso, una evidente contestazione, certamente nei confronti del governo attualmente in carica che ha consentito l’approvazione della legge.

IL PARTITO UNICO DEL NORD

Ma sarebbe bene che anche l’opposizione capisse che la contestazione è anche nei confronti di quel Partito Unico del Nord al quale hanno aderito anche le forze della sinistra – la richiesta dell’Emilia-Romagna di Stefano Bonaccini ed Elly Schlein non si può dimenticare – che hanno utilizzato nei confronti del Mezzogiorno quello stop and go per cui è stato lasciato senza mobilità, con una sanità come quella commissariata in Calabria dal governo centrale da dieci anni in condizioni precarie o quella mancanza di investimenti e di attrazione dall’esterno dell’area, che porta un’esigenza ancora adesso scoperta di oltre 3.300.000 posti di lavoro, per avere un rapporto popolazione occupati che sia simile a quello che si registra nell’Emilia-Romagna. E allora quello che sta accadendo non è un semplice episodio, ma un vero cambio di paradigma perché forse, finalmente, il treno ha fischiato.


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