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Il voto contrario di FdI alla rielezione di Ursula Von der Leyen; Un pasticcio che Giorgia Meloni spiega appellandosi alla “coerenza”.
Ursula von der Leyen inizia il suo secondo mandato alla guida della Commissione europea con una larga maggioranza di centrosinistra: 401 voti su 361 necessari. Sono esattamente i voti del suo perimetro politico originale, quello che l’ha scelta e indicata il 27 giugno: Popolari, Socialisti e Liberali.
Impossibile che l’abbiano votata tutti, i franchi tiratori sono anche a Strasburgo in una percentuale tra il 10 e il 15% dei 720 eurodeputati, quindi è stata eletta anche con i voti di altri gruppi.
Il voto è segreto ma i Verdi hanno dichiarato pubblicamente il loro via libera. Un tesoretto di circa 54 voti al netto di qualche defaillance. E i giochi sono fatti. Ursula ha una larga maggioranza autonoma che si è ritrovata soprattutto nell’appello «alla centralità dell’Europa, in nome dei diritti e della difesa Ucraina».
A questo appello hanno deciso di non rispondere i Patrioti, tra cui Lega, Orban e Le Pen, The Left, cioè la sinistra tra cui i 5 Stelle, larga parte di Ecr, tra cui la delegazione di Fratelli d’Italia.
Guardando la votazione dall’Italia, due partiti di governo su tre hanno quindi deciso di votare contro la nuova Commissione europea. L’Italia, Paese fondatore dell’Europa, ha deciso di mettersi contro la sua storia e la sua tradizione. Una decisione insensata dal punto di vista dell’interesse comune, un gigantesco pasticcio che Giorgia Meloni, in un video veicolato sui social ben quattro ore dopo il voto, ha spiegato appellandosi alla «coerenza della scelta dopo che avevamo criticato il metodo e il merito del modo di procedere di Popolari, Socialisti e Liberali che hanno agito da vincitori quando non lo sono». Meloni ha comunque fatto auguri di buon lavoro a Ursula von der Leyen e ha preventivamente messo le mani avanti. «Sono convinta che tutto questo non potrà compromettere il ruolo e il peso dell’Italia, Paese fondatore, seconda manifattura e terza economia europea, un governo solido e stabile»
IL PROGRAMMA DELLA PRESIDENTE
Alle 14 e 13 minuti del 18 luglio, dopo una rincorsa lunga mesi, una campagna elettorale roller coaster, da montagne russe, e una mattinata con il pallottoliere in mano, von der Leyen può contare la bellezza di 401 voti, 284 i contrari, 15 gli astenuti, sette le schede bianche, 709 i votanti. «Grazie a tutti coloro che hanno votato per me, ho avuto più voti di cinque anni fa e questo è un ottimo indizio» le prime parole della neo eletta Presidente.
«Il mio obiettivo – ha continuato – è tenere insieme questa grande coalizione che mi ha ascoltato, ha creduto in me e mi ha votato. Sono tutti partiti pro Europa, pro Ucraina e pro Stato di diritto».
La giornata era iniziata con le comunicazioni programmatiche della candidata presidente. Cinquanta minuti da cui dipendeva la sua rielezione che non è mai stata blindata e oggetto di molte trattative. Anche con Fratelli d’Italia, unico partito a non voler rivelare le sue intenzioni di voto nonostante da Ecr fosse arrivata l’indicazione della libertà di voto.
«Ciascuna delegazione deciderà in base alle proprie esigenze nazionali» è stato spiegato in mattinata mentre Procaccini e Fidanza, i due fedelissimi della premier a Strasburgo, giocavano a mosca cieca con i giornalisti perché non sapevano cosa avrebbero fatto. «Sentiamo prima cosa dice» è stato il refrain delle ultime ore.
Il Green deal era uno dei punti dirimenti: resta, non è rinnegato, ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè «con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione». Il documento è declinato in sette capitoli: un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale.
Grandi macrotemi con alcune specifiche importanti: ci sarà il commissario per la Semplificazione e per il Sud in chiave anche immigrazione (doppio buffetto alle destre); ci sarà un commissario per la casa, perché l’Europa dovrà essere «il luogo dove si cresce e dove si invecchia meglio».
Un documento programmatico frutto di ascolto e mediazione che politicamente scommette sul «centro democratico motore dell’Unione». È il «nostro programma» rivendica Forza Italia
THE ITALIAN CASE
Von der Leyen punta a comporre la squadra dei commissari entro agosto. L’Unione forte, unita, con le idee chiare è il miglior messaggio che si possa dare alla Russia di Putin (Mosca scommetteva sul flop del bis), alla Cina di Xi (dove Meloni sarà in visita la prossima settimana) e anche ad Israele e Hamas: «Il cessate il fuoco deve essere immediato» ha detto von der Leyen. È anche il miglior messaggio per gli Stati Uniti che stanno per consegnarsi al bis di Donald Trump.
E poi c’è the italian case, l’hanno già ribattezzato così. Molti, anche all’interno di Fratelli d’Italia, avevano scommesso per il Sì perché «abbiamo bisogno di essere organici a questa Commissione da cui dipendono molti dei nostri dossier», Pnrr e legge di Bilancio.
RABBIA E INCREDULITÀ
Alle 14 e 30, quando la notizia rimbalza in Transatlantico alla Camera, impegnata nell’ennesimo voto di fiducia (piano casa), molti restano sbigottiti. Anche tra i leghisti, a dir la verità: «L’ha fatto davvero…». Il più arrabbiato di tutti pare sia il ministro Fitto, che ora vede il suo posto da super commissario ad alto rischio.
«Ma noi restiamo quello che siamo» gonfia il petto il copresidente del gruppo a Bruxelles Nicola Procaccini. Sui telefonini rimbalzano le dirette da Strasburgo. Accanto a Procaccini, che sembra il gatto con il sorcio in bocca, c’è un molto più cauto Carlo Fidanza: «Vi ricordo che nel 2019 i Verdi votarono controUrsula von der Leyen e poi sono stati i suoi più stretti interlocutori in questa legislatura. Lo stesso sarà per Ecr e Fratelli d’Italia: valuteremo il da farsi dossier su dossier».
Ma se così è, perché non dirlo subito, non annunciare la propria intenzione di voto? Si parla di una trattativa molto incerta – raccontano fonti di Forza Italia – per cui «i Fratelli hanno votato no solo quando hanno avuto la certezza che von der Leyen ce l’avrebbe fatta. S’erano impegnati comunque a sostenerla».
Una volta avuta la “certezza” – che nel segreto dell’urna in realtà non c’è mai – sarebbe arrivato l’ordine di non votare.
LE REAZIONI AL “NO” DI GIORGIA
Se per un senior esperto di queste dinamiche come Bruno Tabacci «questo è il primo vero segnale che Meloni ha perso la testa», fonti di FdI alla Camera parlano di scelta tattica obbligata: «Se avessimo votato a favore, adesso avremmo Salvini che ci sparerebbe addosso. Forza Italia e i Popolari capiranno che per noi era necessario sterilizzare gli attacchi delle destre estreme». Possibile lettura, perché dal minuto dopo Matteo Salvini («come vedete le destre sono unite, non si sono spaccate, che è sempre stato il nostro auspicio») avrebbe rinfacciato l’incoerenza di Meloni che ha detto «mai con le sinistre e mai con i Verdi».
Ma “sterilizzare Salvini” è anche un furbo diversivo. In realtà Giorgia Meloni – e questa è l’intuizione di Provenzano (Pd) che ha chiesto al governo di venire in aula a spiegare cosa diavolo ha combinato – in questo modo si tiene aperta la strada verso le destre alla sua destra (che pure l’hanno umiliata portandole via da Ecr il gruppo Vox e altri iscritti) nel caso a novembre vincesse Trump, con cui lei non ha mai coltivato alcun rapporto.
In ognuna di queste ragioni, c’è un minimo comune divisore: impedire a Matteo Salvini di fare quello che Meloni ha fatto per anni: stare all’opposizione e bombardare e logorare. Ma l’Italia non può tenere il piede in tre staffe. Stavolta la scommessa è irresponsabile.
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