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C’è voluta la presa di posizione di Mattarella sull’Autonomia differenziata – «Dividere il Nord dal Sud danneggerebbe tutti» – per allontanare la possibilità che la Lega riesca ad approvare il ddl Calderoli prima delle Europee


Ci voleva l’altolà del capo dello Stato per rallentare la corsa sfrenata dello Spacca-Italia. La moral suasion del Colle – «Attenzione a dividere il Nord dal Sud» – è risuonata come un warning: «Una separazione delle strade recherebbe gravi danni agli uni e agli altri». Più chiaro di così l’avvertimento lanciato in Calabria da Mattarella non poteva essere, un invito a non affrontare in modo superficiale una materia così delicata e urticante come l’autonomia differenziata. Un invito a sostituire il passo del centometrista con l’andamento prudente del maratoneta. Una presa di posizione e una bocciatura. Netta.

Fino a dove si vuole spingere la maggioranza? Davvero Giorgia Meloni è disposta a concedere l’approvazione al reperto archeologico del secessionismo bossiano in cambio del via libera sull’improbabile Premierato? E in che tempi? Prima o dopo le Europee?

MATTARELLA E L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA LEGA CON L’ACQUA ALLA GOLA

Lo sapremo con ogni probabilità mercoledì prossimo, quando la Conferenza dei capigruppo si riunirà alla Camera per decidere il calendario delle prossime settimane. In teoria, in base al “patto di maggioranza”, ci si dovrebbe fermare alla discussione generale. C’è però l’incognita o Calderoli, ministro-pasdaran. L’irriducibile che non vuole uscire di scena prima di aver posto la prima pietra del federalismo in salsa leghista.

«Il nostro progetto di autonomia non separerà l’Italia, non sarà così, non ci sarà separazione delle strade, non ci saranno due Paesi che vanno per conto loro, perché il progetto federalista è centripeto e aggrega il Paese. Ed è un grande cambiamento culturale» assicura il governatore del Veneto, Luca Zaia, rispondendo al Quirinale.
Un modo garbato per non dire quello che pensa il Carroccio, il fastidio per l’ennesima invasione di campo. Con l’autonomia ancora in sospeso e lo strappo del caso-Vannacci che spinge la Lega sempre più a destra, la posizione del Capitano è sempre più in bilico. Se i sondaggi si mettessero male, se a due settimane dall’apertura delle urne si configurasse il sorpasso, con Forza Italia in doppia cifra e Lega in caduta libera, Calderoli potrebbe giocarsi l’ultima carta e forzare la mano sui tempi.

LA PASIONARIA

«Tecnicamente votare prima delle Europee è possibile, ma bisogna vedere che spazi liberi ci sono nel calendario di maggio», dice al Quotidiano del Sud Simona Bordonali, bresciana, 35 anni, la leghista che s’è presentata in Aula con una T-shirt con la scritta “Vento del Nord”, una provocazione che ha fatto infuriare l’opposizione. Lo rifarebbe? «No, perché il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, non ha gradito e il mio gesto non è stato compreso da tutti. Ma chi non crede in questa riforma si sbaglia: per il Sud è una straordinaria opportunità». Lei crede al possibile blitz di Calderoli? «Diciamo che ci spero, anche perché, che a me risulti, non c’è nessun patto per fermarsi solo alla discussione generale…».

In Veneto sono pronti a tirare fuori i gonfaloni e le bandiere della Serenissima. I consulenti di Zaia hanno già predisposto le richieste per ottenere la devoluzione di 8 delle 23 materie per le quali si potrà chiedere da subito più autonomia senza aspettare i Lep. Intese che in teoria si potrebbero firmare un’ora dopo l’approvazione della legge-quadro.

MELONI E L’OPPOSIZIONE

Per rallentare l’iter l’opposizione alzerà un fuoco di sbarramento, le proverà tutte. Dalle pregiudiziali alla moltiplicazione degli emendamenti. «Ho vissuto di persona il processo autonomistico della Provincia di Bolzano e del Trentino Alto-Adige, nessuno vuole mettere a rischio l’unità nazionale – garantisce Alessandro Urzì (FdI), uno dei tre relatori del ddl – Quando si voterà? Non spetta a me dirlo, lo deciderà la Conferenza dei capigruppo». Difficile che Giorgia Meloni sia in vena di ulteriori concessioni alla vigilia del voto. Tanto più che l’altra riforma parallela, quella che sta veramente a cuore alla presidente del Consiglio, è approdata solo da poco a Palazzo Madama e seguirà un iter molto più complesso.

In questa partita un ruolo chiave sarà quello di Forza Italia. Antonio Tajani ha promesso che «vigilerà». Parola che emana un senso di sfiducia, il timore che si cada in un trappolone. Da qui la domanda: se i primi a non fidarsi della Lega e di Calderoli sono proprio i suoi alleati, perché il Mezzogiorno dovrebbe fidarsi di questa legge che spaccherà in due il Paese?

Malumori, reciproche diffidenze, timore che a qualcuno in questo slalom parallelo tra le due riforme scappi uno sgambetto. Malumori espressi apertamente durante il dibattito del 29 aprile scorso dal leghista Domenico Furgiuele. Rivolgendosi ai banchi dei suoi alleati li ha rimproverati di avere una posizione «fin troppo schiacciata e piegata a logiche elettorali o peggio propagandiste». E ancora, sempre più esplicito, li ha chiamati in causa: «Bisognava fare uno sforzo in più, uno sforzo di onestà intellettuale. E lo dico riferendomi anche ai colleghi della maggioranza, dentro e soprattutto fuori da questo Palazzo, sul territorio, i quali colleghi sono in preda ai primi fumi della campagna elettorale: a loro chiedo più coraggio a nome della Lega, perché senza coraggio le riforme non si fanno». Qualcuno ha visto Calderoli spellarsi le mani.


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