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Giuseppe Conte

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di CESARE MIRABELLI *

IN UN contesto sociale, economico e internazionale che richiederebbe la continuità di una stabile e incisiva azione del governo, si apre lo scenario di una crisi che è difficile comprendere e non giova al Paese. Il Movimento 5 Stelle, una delle forze politiche che ha sin qui sostenuto il governo, si ritrae non senza ambiguità. Prende le distanze dalla conversione di un decreto legge sul quale il governo ha posto la questione di fiducia, che non  vota al Senato  per confermare con la non partecipazione al voto  il dissenso manifestato alla Camera su una parte del provvedimento.  

Non equivale all’uscita dal governo, che sarebbe segnata dalle dimissioni dei ministri appartenenti a quella forza politica, ma suona come il preannuncio del venir meno della solidarietà necessaria alla compagine governativa. D’altra parte il governo, ottenendo la fiducia nonostante il non voto o l’astensione dei 5 Stelle, non sarebbe obbligato alle dimissioni. Tuttavia il presidente Draghi ha detto con chiarezza che non ritiene di poter guidare il governo se viene meno l’adesione di una delle forze politiche che lo hanno composto.

Questa lineare posizione risponde alle caratteristiche di un governo di emergenza, sorto con l’appoggio di quasi tutte le forze politiche rappresentate in Parlamento, le quali hanno accantonato la ordinaria contrapposizione tra  maggioranza e opposizione, accettando una guida autorevole ma non politica e ad esse estranea, per affrontare la eccezionale situazione del Paese, realizzare le riforme necessarie, attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) nei tempi e modi previsti dagli impegni assunti in sede europea. Si direbbe che non è un governo di coalizione tra forze politiche affini e alleate, ma di un governo di condivisione dell’esigenza straordinaria di mettere in sicurezza l’economia del Paese e confermare, nelle attuali situazioni europea e internazionale, un consolidato l’indirizzo politico di fondo, al quale non è mancato il sostegno anche delle forze di opposizione parlamentare.

In questa situazione confusa e inquinata da mosse tattiche delle forze politiche, che senza una chiara strategia rischiano di avvitarsi su se stesse, è comprensibile che anche un voto di fiducia amputato della partecipazione di una delle forze politiche che compongono il governo abbia una immediata  incidenza politica e indurrebbe il presidente del Consiglio a rimettersi alle valutazioni del presidente della Repubblica. Sarebbe singolare la caduta di un governo che ha appena ottenuto la fiducia in Parlamento, a causa di una ambigua presa di distanza di una delle forze politiche che lo compongono e che tuttavia non se ne distacca. Una crisi extraparlamentare annunciata come condizionale.

In un contesto di così scarsa chiarezza, il presidente Mattarella potrebbe ritenere opportuna una chiara assunzione di responsabilità delle forze politiche in Parlamento e invitare Draghi a sollecitare un voto di fiducia del Parlamento su una mozione che indichi quanto il governo intende attuare del suo programma nei pochi mesi che mancano alle elezioni per il rinnovo delle Camere. Obbligherebbe ciascuna forza politica a una chiara e non equivoca assunzione di responsabilità.            

Tutto ciò se, naturalmente, la fantasia nella applicazione del regolamento del Senato non consentisse ai 5 Stelle di uscire dal pasticcio distinguendo in qualche modo dal voto di fiducia quanto nel decreto legge in approvazione non aggrada. Sarebbe  la dissimulazione della crisi e non la sua soluzione.

*Presidente emerito della Corte Costituzionale


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