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Lo stop sull’Autonomia differenziata non è un sicuramente un balsamo per il Governo. Con le prevedibili fibrillazioni della Lega
La stroncatura della Corte costituzionale rischia di generare effetti a cascata. Nella Lega è già iniziata la resa dei conti. Portare a casa l’autonomia differenziata veniva considerato dai pasdaran del Carroccio, e in particolare da chi da tempo chiede la testa del “capitano”, il minimo sindacale. E se prima erano piovute critiche perché quella legge era considerata un compromesso al ribasso, figuriamoci ora che la Consulta ha segnato con la matita rossa i 7 punti da modificare per non incorrere in una nuova solenne e definitiva bocciatura.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA, IL FLOP CHE PROVOCA MALUMORI DI GOVERNO
Adottando le prescrizioni indicate punto per punto dalla Consulta, dello Spacca-Italia resterebbe ben poco. Alle Regioni verrebbero trasferite solo alcune funzioni, e tra l’altro marginali. Nulla a che vedere con le pretese leghiste di gestione del gettito tributario, ritenute illegittime e in evidente contrasto con la Carta.
Sul piano politico, per via Bellerio e per il segretario Matteo Salvini ogni riga del comunicato uscito dal Palazzo della Consulta traccia una disfatta. Tutto da rifare, con la prospettiva di portare a casa tra qualche anno un pugno di mosche.
Un flop che rischia di avere conseguenze pesanti non solo sulla Lega, ma anche sul governo. L’autonomia era infatti parte integrante del patto di governo. Fratelli d’Italia e (soprattutto) Forza Italia l’hanno sostenuta obtorto collo per poter raggiungere i propri obiettivi. La Meloni in cambio del Premierato; gli azzurri per avere la strada spianata sulla riforma della giustizia, dunque separazione delle carriere, doppio Csm, elezioni, sorteggio etc, etc.
segue dalla prima
Un do ut des (sempre che Forza Italia abbia ancora interesse a portare fino in fondo il braccio di ferro con i magistrati).
IL PIANO B CARO ALLA LEGA
L’Esecutivo deve fare adesso i conti con un’anatra zoppa. O ci si inventa un piano B caro ai leghisti, un obiettivo che possa fermare il precipizio di consensi, oppure salta tutto. E per Giorgia, impegnata a darsi una dimensione che la faccia uscire una volta per tutte dal Grande raccordo anulare, saranno grattacapi e problemi.
Fin qui, in attesa della sentenza, prevista per metà dicembre, le ricadute. Voleranno gli stracci, e già sono partite le accuse a Roberto Calderoli e Luca Zaia per aver voluto forzare la mano in una battaglia cosi fortemente identitaria.
Non aver scelto, per esempio, la strada della legge-delega che avrebbe richiesto più tempo ma forse sarebbe andata in porto. Aver accelerato sulle intese ricevendo i governatori di Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria, prima ancora che i giudici della Consulta si esprimessero. Questa mossa del ministro-odontotecnico Calderoli è stata vista come una sorta di inutile provocazione.
Così come lo è stato aver inserito tra i legali a sostegno dei contro-ricorsi collaboratori della Regione Veneto e componenti del Clep. Una mossa grossolana. Non solo per l’evidente conflitto di interessi, ma anche per aver delegittimato del tutto la Commissione di “saggi” guidata da Sabino Cassese, il “principe” dei costituzionalisti che pure ci aveva messo la faccia.
TAJANI E MELONI E L’ELETTORATO DEL SUD
C’è chi dice che la decisione della Consulta non sia in fondo dispiaciuta a Giorgia Meloni. La quale, in effetti, ha continuato – tiepidamente – a sostenere lo Spacca-Italia in virtù del patto di maggioranza. Una pillola da mandare giù, una pillola indigesta che ha creato uno scollamento con parte dell’elettorato del Mezzogiorno, dove FdI è molto radicata.
Tira un sospiro di sollievo anche Antonio Tajani, l’unico tra i big a uscire allo scoperto insieme al presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. Forza Italia questa legge non l’ha mai voluta. La riprova è che finora nessun esponente azzurro o di FdI abbia levato la voce contro la decisione della Corte. Cosa che, come noto, non è avvenuta per altre decisioni di magistrati additati come “comunisti”.
Fin qui la questione per così dire politica. Un piccolo terremoto, aspettando le inevitabili scosse di assestamento nei prossimi giorni.
AUTONOMIA DIFFERENZIATA, IL COLLANTE DELL’OPPOSIZIONE AL GOVERNO
Il quadro non sarebbe completo, però, senza le reazioni che la decisione dei giudici della Corte ha provocato nell’altro schieramento. Soddisfazione, certo, ma c’è anche chi, in fondo in fondo, avrebbe preferito arrivare al referendum. Allo scontro per lo scontro. La battaglia contro l’autonomia è stata infatti l’unico collante di un’opposizione sempre più litigiosa. Raccolta delle firme, iniziative comuni intorno allo stesso tavolo, convegni e incontri nei vari territori, avevano avvicinato partiti e sindacati, forze e spezzoni di società che ora ricominceranno a guardarsi in cagnesco e torneranno distanti. Scampato il pericolo, tutti dovranno farsi un bell’esame di coscienza e riconoscere le responsabilità e le ambiguità che portarono alla riscrittura del Titolo V.
E la legge che fine farà? Smontata pezzo a pezzo l’architettura leghista, se verranno osservate tutte le prescrizioni indicate dalla Corte, del Ddl 86/24 resterà ben poco. Sette articoli sono da riscrivere. Le materie non Lep non potranno riguardare i diritti sociali e civili. Senza dire che viene messa in discussione la stessa interpretazione dell’articolo 116 comma 3, con un richiamo alla solidarietà, criterio ispiratore della nostra Costituzione da contrapporre alla competizione. Con queste correzioni sarebbe possibile devolvere alle Regioni che ne faranno richiesta solo alcune funzioni, per altro secondarie. Un contentino che non basterà a saziare la voglia di secessione fiscale dei seguaci di Calderoli.
UN ITER LUNGO
Bisognerà aspettare la pubblicazione della sentenza e ripartire dalla I commissione Affari costituzionali del Senato, dove tutto ebbe inizio. La strada la indica la stessa Consulta nelle ultime righe del suo comunicato, lì dove si dice che «spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle (regioni, ndr) ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge».
Bene che vada se ne riparlerà il prossimo anno, e non è detto affatto che, visti i precedenti, l’iter si concluda entro questa legislatura. Anche perché errare humanum est, perserverare autem diabolicum.
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