Il leader della Lega Matteo Salvini
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DI BUON mattino Matteo Salvini fa i complimenti a Donald Trump: «Congratulazioni a Donald Trump per la sua vittoria schiacciante al caucus dell’Iowa!». Raccontano che la war room di Palazzo Chigi abbia storto il naso. Giorgia Meloni è allineata alle posizioni di Joe Biden, è schierata con Kiev ed è dunque anti-putiniana. Insomma, l’esatto contrario dell’ex presidente degli States. Ecco perché in Transatlantico la voce che ricorre con più frequenza rimanda a questo ragionamento: «D’ora in poi Matteo e Giorgia se le daranno di santa ragione anche sulla politica estera».
Uno scenario che preoccupa Palazzo Chigi, perché Meloni si ritroverà da presidente del G7 a dover rispondere alle domande che le porranno sulle uscite dell’alleato di governo.
SONDAGGI ALLARMANTI PER SALVINI
Qualcuno vede tutto questo come il gesto di chi non riesce a dare una spinta propulsiva al partito. Di sicuro i tormenti di Matteo Salvini partono da lontano. Da quando – confida chi lo conosce da tempo – «è iniziata la sua parabola discendente». La seconda parte del 2019 è stata il punto di svolta, in negativo. «Continua a pagare l’harakiri del Papeete» è la tesi di chi lo frequenta da parlamentare. Da quel momento ha perso tutto: governo e leadership del centrodestra. Meloni ormai gioca un altro campionato. «Giorgia punta alla Superlega – scherzano al Senato – Matteo invece deve salvarsi».
A questo punto nessuno dà per scontato che da qui a un anno sia ancora lui il leader della Lega. Le elezioni saranno un punto di svolta, perché questa volta rischia seriamente di perdere tutto. A oggi tutti gli studi arrivati sul tavolo del vicepremier fotografano una Lega al di sotto di quella cifra. Lunedì sera il sondaggio per La7 accreditava la Lega all’8.9%. Una percentuale che ha fatto sobbalzare dalla sedia lo stato maggiore di via Bellerio: «Se continua così ci faremo raggiungere da Forza Italia».
Cosa fare allora? Incassare l’autonomia differenziata può essere utile a salvarsi. Ieri è iniziata la discussione generale in Senato. Non a caso un salviniano doc come Alberto Stefani ha scolpito questa frase: «Giornata storica per la Lega: parte al Senato l’iter della riforma per l’Autonomia regionale. Grazie al ministro Calderoli che, con il suo costante impegno, sta portando avanti celermente una riforma essenziale che i veneti hanno chiesto a gran voce con il referendum del 2017. Avanti così».
SALVINI, L’AUTONOMIA E VANNACCI
E un altro salviniano doc come il sottosegretario Massimo Bitonci si è espresso in questi termini: «Grazie all’incessante lavoro del ministro Calderoli e della Lega, oggi siamo qui in aula Senato per discutere le pregiudiziali sulle disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario. Una riforma improcrastinabile ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Attuazione chiesta a viva voce da veneti e lombardi, grazie al referendum voluto dalle regioni nel 2017, che porterà alla definizione dei Lep (Livelli essenziali delle prestazioni), già inseriti nella legge di Bilancio, con benefici, nuovo sviluppo e tutele per tutte le Regioni. Un iter che vuole porre fine ai danni del centralismo statale, che ha portato a una nazione a doppia velocità. Una riforma che mira alla responsabilizzazione degli amministratori con l’assunzione di nuove deleghe e competenze».
Eppure l’iter è ancora lungo. Anche perché, tra Senato e Camera, può sempre succedere qualcosa. Basterà approvarla in un ramo del Parlamento per salvarsi? Non è dato saperlo. Di sicuro i nuovi equilibri di coalizione potrebbero far perdere a Salvini una regione del Nord nel 2025 o comunque lasciare a FdI il Veneto, così da far esplodere tutto il partito. Lo stesso si può dire se la Lega non riuscisse a raggiungere almeno il 10% alle Europee. Ed è la ragione per cui Salvini vorrebbe cambiare spartito.
Provando a candidare figure più “larghe”, come ad esempio Roberto Vannacci, generale e autore di “Il mondo al contrario”, un libro che ha spopolato. Il leader della Lega, nel corso del federale di lunedì, si è limitato a dire di averlo incontrato senza avere ancora la risposta definitiva. Certo, il generale continua a giocare sulla questione. Dice e non dice. Un giorno ammicca e un altro prende le distanze. E tutto questo non aiuta.
I “NO” DEI GOVERNATORI
Tuttavia, la vera controindicazione è che la candidatura del generale non scalda gli animi dei leghista. Al consiglio federale di lunedì la risposta dei vertici è stata timida. L’ipotesi di un Vannacci capolista in tutte le circoscrizioni va contro la storia della Lega, che da sempre prova a valorizzare le risorse del territorio. Salvini ha provato a convincere i governatori delle Regioni del Nord, le tre punte di diamante di Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, ma il no dei tre è stato unanime. Conseguenza vuole che Salvini abbia virato su figure alternative. Come si diceva, il sogno salviniano rimanda a Vannacci, che si può considerare una sorta di anti-Meloni. E potrebbe essere utile per intercettare tutti gli insoddisfatti di destra delusi da Giorgia Meloni. I tormenti, come si vede, continuano.
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