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Vertice dei leader della coalizione, forte mandato alla premier: la proposta dell’Italia sull’Articolo 5 della Nato a sostegno di Kiev prende quota


“Mandato pieno” alla premier per trattare, o meglio posizionare l’Italia oggi al tavolo dei Volenterosi pro Ucraina a Parigi. E “mandato pieno” vuol dire, spiega una fonte presente al vertice di maggioranza di ieri mattina, che l’Italia “non cambia di una virgola la posizione tenuta negli anni fino ad oggi: sostegno a Kiev finchè c’è la guerra; forze e misure di garanzia una volta firmata la tregua e poi la pace”. Dove per “misure di garanzia” s’intende una larga coalizione militare, anche italiana, sotto il cappello delle Nazioni Unite e con poteri simili a quelli previsti dall’articolo 5 dell’Alleanza atlantica. Con buona pace di Salvini e delle remore pacifiste di una larga fetta della maggioranza e delle opposizioni. “La nostra sarà una posizione da paese serio, che è riuscito a trovare la sintesi necessaria in contesti come quelli che stiamo vivendo” ripete la fonte.

Prima i fatti e poi la dinamica politica. Al di là del comunicato ufficiale di palazzo Chigi veicolato alla fine del vertice convocato dalla premier ieri verso mezzogiorno, si possono mettere in fila un po’ di concetti. Il primo: “L’Italia tiene la linea che ha sempre avuto, ovvero sostegno e aiuti all’Ucraina finchè il conflitto è in atto”. Una volta raggiunta firmata la tregua, che significa un accordo sottoscritto da tutte le parti, “si passa alla messa in campo delle garanzie di sicurezza che come è ovvio devono essere preparate adesso, cioè prima della tregua”.

L’ITALIA, KIEV E IL RUOLO DELLA NATO

E qui Meloni con i ministri Tajani (Esteri ) e Crosetto (Difesa) avrebbero cucito quella viene chiamata “sintesi” e che assomiglia ad un piccolo capolavoro diplomatico-militare. La proposta italiana prevede una missione di pace (peace keeping) delle Nazioni Unite, la più larga possibile e quindi anche con militari italiani, che avrebbe nelle regole d’ingaggio una forma allargata dell’Articolo 5 della Nato, quello che prevede la reazione militare e difensiva dei paesi alleati in caso di aggressione ad uno dei paesi che aderiscono all’Alleanza atlantica.

Restiamo un attimo su questa interpretazione dell’articolo 5 che dovrebbe offrire all’Ucraina le stesse garanzie di difesa della Nato senza che ci sia di mezzo la Nato visto che l’Ucraina non può entrare nell’Alleanza. In sostanza la proposta italiana oggi sul tavolo, ma già veicolata nelle passate riunioni dei Volenterosi, prevede che l’Ucraina, che non è nella Nato, sarà rafforzata militarmente (la guerra ha già trasformato l’esercito ucraino in uno dei più temibili a livello europeo) assistita e difesa da questa larga alleanza che potrà intervenire e reagire su mandato delle Nazioni Unite e quindi dopo il via libera del Consiglio di sicurezza dove siede anche la Russia. La quale a dir la verità almeno al momento non sembra affatto convinta di questa ipotesi.

In questo modo si possono tenere insieme il progetto di Trump di smarcarsi non del tutto ma il più possibile da un impegno militare; l’alleanza dei Volenterosi a cui dal 3 marzo stanno lavorando Macron e Starmer; l’aut-aut di Mosca che non vuole sentir parlare di Nato; la necessità per Kiev di avere precise e chiare garanzie di sicurezza nel caso Mosca decida tra un po’ di annettere qualche altra porzione di territorio. Non solo ucraino.

LA VIA TALIANA

La “via italiana” – in campo una nuova Nato che non è la Nato – sembra già essere assorbita dal piano Macron-Starmer così come è stato spiegato ai vari leader nell’ultimo consiglio europeo alla presenza anche del segretario Onu Guterres. Innanzitutto i “Volenterosi” sono diventati una “forza di rassicurazione” a cui i vari paesi che aderiscono – trentuno tra cui anche l’Italia e allargati al Commonwealth, all’Asia e all’Oceania – potranno “contribuire secondo le proprie capacità e priorità strategiche” e il cui obiettivo primario è “fornire garanzie di sicurezza a Kiev”. Il punto che sarà discusso oggi è “come articolare i vari dispositivi di sicurezza”: truppe in territorio ucraino; rafforzamento dei contingenti ai confini compresi quelli marittimi; chi e come garantire la vigilanza aerea.

La scorsa settimana a Bruxelles Macron ha condiviso con la Commissione l’ipotesi di una forza di ventimila uomini “da schierare secondo quattro livelli di interposizione”: una zona cuscinetto presidiata dal contingente neutrale (primo livello); in territorio ucraino ci sarebbe l’esercito ucraino potenziato (secondo livello); un presidio in mare (terzo livello, europeo?) pronto ad intervenire in caso di necessità; sorveglianza aerea (quarto livello) fornita soprattutto dagli americani. Oggi si spera sarà tutto più chiaro dopo la conferenza stampa post vertice. Tutte queste iniziative – un altro passaggio necessario – sono condivise con l’alleato Usa. Un altro punto dirimente per la premier Meloni. L’Italia comunque c’è e da Parigi fonti diplomatiche sottolineano come sia stata “sempre presente in queste settimane con le sue proposte”.

IL VERTICE A PALAZZO CHIGI

Nel vertice di palazzo Chigi affrontato anche il merito delle trattative in corso tra Usa e Russia. Condivisa l’idea della tregua su infrastrutture energetiche e strategiche. Tutto il resto, a partire dallo stop delle sanzioni, non è ricevibile.
Fin qui i fatti. Poi ci sono le dinamiche politiche italiane. Ma ogni paese ha le sue in questa fase. Diciamo che Salvini ieri è uscito da palazzo Chigi un po’ coda tra le gambe: tutto il suo bau bau è finito in un mucchietto di parole, post e iniziative smentite dai fatti.

Il vicepremier pacifista (che però vuole armare l’Italia per legittima difesa) ha lasciato la sede del governo per prendere parte ad una conferenza stampa sulla Sanità a Montecitorio. Non una parola su Ucraina, Russia e pace. Ha sibilato solo: “Io sui dazi non cambio idea, l’Italia potrebbe avere trattamenti privilegiati grazie ai nostri buoni rapporti”. Anche le sanzioni alla Russia andrebbero tolte di mezzo. Tutto in nome della pace. Poi è andato in aula per il question time a sempre a testa bassa e “molto tesa” come dicono i deputati di maggioranza che lo hanno incrociato. Giornata nera.

Per quanto si siano sforzati, il comunicato di palazzo Chigi è zeppo di contraddizioni. Ci hanno dovuto scrivere che “non è prevista alcuna partecipazione nazionale ad una eventuale forza militare sul terreno” per fare contento Salvini. Subito dopo però scrivono che “per l’attuazione e il monitoraggio del cessate il fuoco è possibile il ruolo delle Nazioni Unite (e quindi di un contingente di caschi blu) che l’Italia sostiene da tempo”. Tradotto, se si arriverà ad una pace, l’Italia invierà i suoi soldati e farà il suo dovere. Dopo il voto del Parlamento.

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