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Restano distanti le posizioni fra i due presidenti Trump e Putin, colloquio “franco” ma ancora pochi risultati, l’Ucraina respira, sì al cessate il fuoco energetico, accordo sulle centrali nucleari


Un risultato forse modesto per lunghezza della telefonata, durata quasi due ore, molto più di quella del 12 febbraio scorso, con cui Trump e Putin avevano avviato le trattative sul dossier ucraino. E nonostante i toni celebrativi rilanciati tanto dal Cremlino quanto dalla Casa Bianca, la sostanza appare debole: ci sarebbe un’intesa di massima per favorire una sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche ucraine e russe. Una sorta di cessate il fuoco limitato per obiettivi che dovrebbe mettere in sicurezza una serie di strutture fondamentali per la popolazione civile, oltre alle centrali nucleari – come quelle di Zaporizia –, più volte al centro di pericolosi scambi di missili. Ma, mentre le due superpotenze si impegnano anche a formare dei non meglio definiti gruppi tecnici che studino la possibile estensione per gradi del cessate il fuoco, il risultato di un accordo di pace rimane lontano dal concretizzarsi.

Prima del vertice le autorità russe avevano messo le mani avanti, pur continuando a professore ottimismo. «Ci sono chiaramente delle aspettative emotive sulla conversazione. Tuttavia, questa è solo una conversazione in una serie di passi per costruire un dialogo e trovare modi per risolvere la situazione intorno all’Ucraina» ha dichiarato infatti il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, negando che la telefonata dovesse fungere da base per una “nuova Yalta”, ovvero sia un patto ufficioso tra i leader delle maggiori superpotenze mondiali (Stati Uniti, Russia e Cina) per dividersi il mondo in sfere d ‘influenza, come avvenuto – appunto – nel summit tenutosi nella località balneare crimeana all’indomani della Seconda Guerra Mondiale.

Alla vigilia del vertice, il Cremlino non aveva mancato di rimarcare le proprie posizioni, in particolare facendo filtrare un diktat vero e proprio: la sospensione di ogni aiuto militare all’Ucraina per tutta la durata della tregua temporanea di 30 giorni proposta dagli Stati Uniti e da Kiev stessa, in cambio del sì russo. Un suggerimento che ha il sapore dell’imposizione ma che dimostra come la Federazione Russa si senta di poter trattare da una posizione di forza. Non tanto forza militare, beninteso, dal momento che l’esercito di Mosca continua ancora a combattere in quel Donbas invaso ormai tre anni fa, ma forza politica.

Il Cremlino ritiene infatti che Washington voglia la pace molto di più della Russia stessa: sul piano strategico, per poter chiudere la partita ucraina e potersi concentrare su altri teatri operativi; su quello politico, perché a due mesi dal suo insediamento Trump – dietro la retorica roboante – deve ancora portare a casa qualcuno di quei successi diplomatici (leggasi, pace) che in primo luogo lo hanno fatto eleggere. A maggior ragione dopo il collasso del cessate il fuoco a Gaza, a lungo rilanciato dalla galassia MAGA come uno dei primi effetti positivi del ritorno al potere del tycoon.

Mentre la Casa Bianca preferisce far finta di nulla e rivendicare il proprio ruolo come alleata storica di Israele, la discrepanza rispetto agli annunci trionfalistici – con tanto di video-réclame di pessimo gusto – e la sostanza della ripresa di un conflitto senza sbocchi e che peserà in termini di aiuti e influenza sulla reputazione americana è evidente. Nonostante questo la Russia però non è riuscita, come Trump del resto, a portare a casa il risultato, nonostante i timori europei ed ucraini.
Annunciando la telefonata, Trump aveva infatti preannunciato che la discussione avrebbe abbracciato tutti i temi chiave del negoziato, comprese le future delimitazioni territoriali tra Russia e Ucraina.

Il Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Mike Waltz, del resto, aveva espresso nei giorni scorsi la convinzione che ogni intesa volta a conseguire una pace duratura avrebbe partire da una valutazione realistica della situazione sul campo e questo molto probabilmente avrebbe richiesto la rinuncia da parte ucraina di alcuni territori in cambio di adeguate garanzie di sicurezza da parte occidentale.

Una presa di posizione che ha alimentato le speculazioni, rilanciate dai media statunitensi, secondo cui l’amministrazione Trump starebbe valutando di riconoscere l’annessione della Crimea alla Russia, undici anni dopo l’occupazione della penisola affacciata sul Mar Nero che ancora oggi le Nazioni Unite considerano territorio illegalmente occupato. Addirittura, il New York Times aveva riportato anche le preoccupazioni dei vertici ucraini circa la possibilità che Trump non premesse soltanto per assegnare alla Russia i territori occupati fin qui dalle truppe di Mosca, ma chiedesse all’Ucraina aggredita ulteriori sacrifici, come la rinuncia alla strategica regione di Odessa. Amputazioni territoriali umilianti, difficilmente accettabili da parte di Kiev, ma che ben denotano il clima di timore che serpeggia nell’entourage del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky e nelle cancellerie europee.

Proprio questo aveva spinto l’Ucraina a rimarcare le proprie posizioni. «L’Ucraina ha sostenuto la proposta americana di un cessate il fuoco temporaneo di 30 giorni. Ci aspettiamo dalla Russia che accetti senza condizioni questa proposta» aveva chiarito il Ministro degli Esteri ucraino Andriy Sybiha, che lunedì aveva ribadito le “linee rosse” di Kiev: no al riconoscimento diplomatico dei territori conquistati e annessi dai russi, no al veto russo all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, no a clausole del trattato di pace che impongano limitazioni alle forze armate di Kiev. L’Ucraina sottolinea di desiderare una conclusione positiva dei negoziati e la fine della guerra già entro il 2025, ma non pare disposta – almeno per il momento – a mettere in discussione la propria integrità territoriale.

Punto su cui è tornato anche Andriy Yermak, capo di gabinetto e braccio destro di Zelensky: «L’Ucraina non discuterà di uno status neutrale o di una riduzione del numero delle nostre forze armate. Non riconosceremo mai alcun territorio temporaneamente occupato come russo» ha affermato Yermak su Telegram a telefonata ancora in corso, quasi a volersi frapporre nella discussione telematica che metaforicamente e politicamente stava avvenendo sopra la testa di Kiev. Preoccupazioni non infondate ma forse precoci, dato il mezzo fiasco del colloquio russo-americano. Zelensky ha potuto senza dubbio prendere la parola per appoggiare l’idea del cessate il fuoco parziale con un certo sollievo, seppur molto relativo. Mentre Kiev resiste infatti, la guerra continua.

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