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Consiglio europeo buono a metà per la Meloni che cala il jolly Albania sui migranti, ma nella riunione con Zelensky l’Italia non ci sarà


Voleva lasciare il segno convocando la prima riunione euro-arabica. La foto di famiglia con il principe bin Salman e altri cinque presidenti arabi sotto le bandiere dell’Europa building resterà nei libri di storia. Senza dubbio. Avrebbe dovuto, quest’ultimo Consiglio della stagione Michel-von der Leyen,  fissare anche  alcuni punti fermi sui due conflitti che l’Europa sente alle porte di casa ma su cui riesce ad incidere molto poco. Ma alla fine il vertice ha un po’ deluso le attese. Soprattutto ha fotografato i 27 divisi su tutto: Ucraina, Israele, immigrazione. Anche questa non è una novità.

Di sicuro la presidenza Orban che guida il semestre europeo non aiuta. E il vento delle destre che crescono ovunque si voti – Germania e Austria – costringono la nuova Commissione del von der Leyen 2, che ancora deve passare il voto delle commissioni e dell’aula, a muoversi con un passo più attento a certi dossier. Come la guerra in Ucraina e la gestione dei flussi immigratori.
In questo contesto la premier Meloni ha organizzato lo spot italiano sull’immigrazione facendo coincidere il suo arrivo a Bruxelles con quello del battesimo del nuovo centro migranti italiano “in Albania”. Mossa azzeccata, almeno in termini di pubblicità, un po’ meno dal punto di vista operativo. Comunque una proposta italiana.

MELONI LA SPUNTA SUI MIGRANTI, SULL’UCRAINA È FUORI DAI GIOCHI


 Il problema però di Meloni e del governo italiano è che ormai siamo totalmente fuori da ogni vertice ristretto sull’Ucraina. E questo nonostante fino al 31 dicembre abbiamo la presidenza del G7. Quello che pesa sulle agende della diplomazia sono alcuni fatti che accadono lontano da Bruxelles. Domani a Berlino ci sarà una riunione ristretta a quattro paesi, Stati Uniti, Francia, Germania e Uk sull’Ucraina e alla presenza di Zelensky che è stato a Bruxelles in questi giorni per presentare il suo Piano per la vittoria. Il governo italiano non c’è. Non è stato invitato. Come non lo era stato due settimane fa quando i quattro si dovevano riunire a Ramstein, riunione poi saltata causa uragano negli Usa. Si parla di rifornimento di armi a Kiev e l’Italia non c’è.

GIORGIA HA SCELTO MUSK

E’ vero che ha detto di non voler far parte di questo  gruppo. Ma senza dubbio pesano anche alcune recenti scelte. Come quella di non prendere parte alla cena di Biden a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. O aver scelto un assoluto nemico di Biden come Elon Musk per essere premiata alla serata  dell’Atlantic council. La missione oggi e domani in Giordania e Libano – sospesa da tempo e più volte rinviata nelle ultime due settimane – serve anche a questo: un ottimo alibi per coprire l’assenza a Berlino. “La riunione a Berlino?” hanno chiesto i giornalisti a Meloni. “In ogni caso non avrei potuto partecipare perchè sarò prima in Giordania e poi in Libano. Entrambe visite di stato”.

MELONI, MIGRANTI E PROTOCOLLO ALBANIA


In questo vertice la premier ha calato il jolly “protocollo Albania” ed è riuscita a mettere gli hub of returns (centri per  rimpatri) nel documento finale del vertice alla voce immigrazione. Glissando un po’ sui numeri – il viaggio del pattugliatore Libra fino all’hot spot di Schenjing è costato 250 mila euro, 61 marinai sono stati costretti a scortare sedici immigrati di cui quattro sono già tornati in Italia – che raccontano una sproporzione, la premier ieri mattina ha convocato una riunione di ben quindici paesi europei che sembrano interessati al modello Albania.

Interessati almeno a capire come funziona e come procede, una di quelle “soluzioni innovative” che i 27 chiedono in coro, questa volta uniti, di sondare per cambiare rotta nel grande capitolo dell’immigrazione. Lo chiedono gli elettorati di tutti i paesi, Francia, Germania, Spagna, Austria, lo hanno dimostrato nelle urne e serve una risposta. Ursula von der Leyen lo ha anche scritto nella lettera d’invito dei 27 al Consiglio Ue: “Esploriamo l’idea di sviluppare hub di rimpatrio al di fuori della Ue. Cerchiano soluzioni innovative per contrastare l’immigrazione irregolare. Impariamo dal protocollo Italia-Albania”. Parole chiare, un’apertura e anche un riconoscimento di cui la stessa Meloni è giustamente fiera. Ma questi almeno quindici anni di dossier immigrazione dovrebbe aver insegnato la distanza enorme tra le parole e i fatti.

LE ALTERNATIVE EUROPEE ALL’INIZIATIVA DELLA MELONI SUI MIGRANTI

E ieri mattina intorno al tavolo sono emerse tutte le differenze. C’erano i primi ministri danese Mette Friedriksen e olandese Dick Schoof – c’era Orban e anche Ursula von der Leyen. E poi Polonia, Austria, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Malta, Slovacchia. Undici compresa von der Leyen. L’interesse dimostrato dovrà fare i conti prima di tutto con il diritto: vedremo i vari tribunali nazionali ed europei come si esprimeranno davanti ai primi ricorsi. Non c’è solo il modello Albania. L’Olanda sta provando un cosa del genere con l’Uganda, la Danimarca con il Kosovo. Tutti d’accordo al tavolo sugli hub per i rimpatri. La differenza, sostanziale, è che in Albania l’Italia processerà le richieste di asilo. Negli altri andranno solo coloro a cui è già stata negata la richiesta. Rimpatri già decisi. In Uganda, ad esempio, andrebbero solo gli originari del continente africano.

SCHOLZ: GLI HUB NON SONO LA SOLUZIONE


Intanto Scholz ha già fatto sapere che “gli hub non sono la soluzione”. Non piacciono neppure alla Spagna che però deve trovare una soluzione visto l’aumento di sbarchi. La Francia è divisa in due: Macron non è convinto, il suo ministro molto più possibilista.
Nel documento finale del Consiglio alla voce immigrazione finirà l’espressione “hub di rimpatrio”, “soluzioni innovative” e il protocollo Italia-Albania. Però i 27 restano divisi. Il dissenso non è sulla difesa dei confini esterni quanto sulla gestione interna: controlli alle frontiere interne di Schengen; attuazione del nuovo Patto su migrazione e asilo; redistribuzione di quote di richiedenti asilo; riattivazione delle regole di Dublino per i Paesi di primo ingresso. Regole penalizzanti per l’Italia e tutti i paesi del fronte sud che almeno su questo dovrebbero essere uniti.

Meloni ha lasciato Bruxelles prima della conclusione del vertice. Oggi  sarà prima in Giordania dove incontrerà il re Abdallah II. Poi a Beirut dove vedrà il primo ministro Najib Mikati e il presidente dell’Assemblea nazionale Nabih Berri. Esclusa per motivi di sicurezza, una visita al contingente italiano impegnato nelle missioni Unifil e Mibil.
Ieri mattina c’è stata l’informativa al Parlamento del ministro della Difesa Guido Crosetto. Intervento applaudito in maniera bipartisan. Sul Libano il ministro ha le idee molto chiare: la missione Unifil va rafforzata, le regole d’ingaggio vanno cambiate e va messa la polizia libica in condizioni di fare ciò che non ha potuto finora: controllare la striscia, sequestrare le armi di Hezbollah. “Per fare questo serve una polizia addestrata, pagata e non allo sbando come negli ultimi anni dove, a forze di inflazione, gli stipendi hanno perso ogni potere di acquisti e  Hezbollah paga gli stipendi a tutti”. Non c’è bianco e nero in Libano. C’è il caos. Crosetto ha organizzato la conferenza dei paesi donatori ed è al lavoro giorno e notte su questo fronte.   


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