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Il ministro Crosetto aveva già sollevato il problema in merito all’agibilità sul campo dell’Unifil nella zona di crisi in Libano



I chiarimenti telefonici non hanno chiarito. Le rassicurazioni non hanno rassicurato. Anche l’ipocrisia – assai pericolosa se si parla di guerra – sta crollando. A metà pomeriggio parla il ministro israeliano dell’Energia e delle Infrastrutture. Parla a Guterres, numero uno della Nazioni Unite. E parla ai governi che più di tutti in queste ore, italiano ma anche francese, tedesco e spagnolo, stanno intimando a Tel Aviv di cessare gli attacchi sulla missione Unifil.

COHEN AVEVA PROMESSO DI NON DANNEGGIARE FORZE UNIFIL IN LIBANO

«Lo Stato di Israele non è interessato a danneggiare le forze Unifil – è la premessa di Cohen – Tuttavia queste forze non hanno contribuito in alcun modo al mantenimento della stabilità e della sicurezza nella regione, non hanno garantito l’applicazione delle risoluzioni ONU e fungono da scudo per Hezbollah, un’organizzazione terroristica e un’agenzia dell’Iran».

Un’affermazione, questa, che ha precisi riscontri anche da parte delle forze Unifil, a cominciare da quella italiana. La frase finale quella che fa tremare i polsi: Guterres, «ritiri l’Unifil dalle zone di conflitto e smetta di fare il gioco dell’Iran». O almeno, Guterres dovrebbe – già da giorni -valutare un cambio repentino delle regole d’ingaggio della missione e togliere i Caschi blu da una situazione ipocrita che sta diventando molto pericolosa.

REGOLE DI INGAGGIO, IL MINISTRO CROSETTO NE PARLA DAL 2023

Il ministro della Difesa Guido Crosetto sottopone la questione “regole d’ingaggio” Unifil da giugno 2023, prima del pogrom di Hamas del 7 ottobre a sud del paese, quando ancora era Hezbollah e il nord di Israele il primo, e in quella fase anche l’unico, problema di Tel Aviv. Sono circa 70mila le persone evacuate dalla regione nord, costrette a lasciare case e abitazioni sotto la pioggia di razzi che Hezbollah lancia con diligente costanza proprio da quella “fascia di sicurezza” o “zona cuscinetto” di circa 60 km che, in base alla Risoluzione 1701 del 2006 deve essere di esclusiva pertinenza delle forze libanesi e di quelle Unifil. La zona cuscinetto è diventata una piattaforma di lancio assai privilegiata ad uso esclusivo di Hezbollah. Non erano questi gli accordi, ecco cosa intende il ministro Cohen quando dice che Unifil «ha fallito».


Non si sta giustificando Israele. Se ne capisce però la rabbia e la determinazione. Specie nel giorno, ieri, in cui un razzo velocissimo di Hezbollah lanciato dalla “fascia di sicurezza” è riuscito a perforare il sistema di difesa aereo (air dome) e ha colpito Haifa.
Israele ha torto a metà. Ma ha anche ragione a metà. Come sempre in questa maledetta guerra dove, scrive l’arabista Gilles Kepel, «Netanyahu sta in realtà facendo il lavoro sporco nella regione anche per altri». Ad esempio i paesi arabi. E non solo sunniti.

UNIFIL E LIBANO, UN MESSAGGIO CHIARO INVIATO A NETIANYAHU

Tutti i paesi coinvolti nella missione Unifil, sono quaranta, hanno consegnato a Netanyahu e al governo di Tel Aviv due messaggi chiari: non ce ne andiamo da qui perché Israele non può decidere il destino di una missione delle Nazioni Unite; se gli attacchi di questi giorni sono stati “errori”, non si ripetano mai più. Ieri anche un terzo tema ha bucato la cortina dell’ipocrisia che ha sin qui coperto la missione Unifil.

Una breccia era già stata aperta dal ministro Crosetto che denuncia con forza da un anno e mezzo l’inadeguatezza delle regole d’ingaggio della missione. All’ennesimo ultimatum del ministro Cohen ha replicato ieri pomeriggio il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Se l’obiettivo è quello di disarmare Hezbollah, «le attuali regole di ingaggio Unifil non vanno bene. Sono le Nazioni unite che devono scegliere». Ed ecco che – come è giusto che sia – la palla torna sulla scrivania di Guterres ed esce in parte da quella di Netanyahu.


Se i nostri soldati potessero parlare senza essere vincolati al segreto militare avrebbero parecchio da dire sulla deriva assunta dalla missione Unifil, acronimo di United Nations Interim Force in Lebanon. Potrebbero ad esempio dire di aver potuto monitorare con costanza la consegna di armi a Hezbollah; la costruzione di tunnel e basi sotto terra nei pressi anche delle basi Unifil. Potrebbero denunciare che sono nei fatti disarmati perché le regole d’ingaggio impediscono ai Caschi blu di svolgere “attività operative” (come il sequestro delle armi e la bonifica della striscia di competenza). Possono difendersi se attaccati, ovvio. Ma è difficile organizzare una difesa quando la minaccia arriva dal fuoco amico.

LE PAROLE DEL GENERALE PORTOLANO

Il generale Luciano Portolano, da poche settimane Capo di stato maggiore della Difesa e fino ad allora alla guida della missione Unifil, lascia intendere nelle sue dichiarazioni che i «nostri soldati, pur frustrati per non poter fare quello che servirebbe fare, con grande professionalità stanno evitando escalation che potrebbero coinvolgere tanti altri Paesi presenti nella missione Onu». Militari e soldati con «coraggio morale» perché «si assumono la responsabilità dei compiti». Diversamente da quello che stanno facendo Guterres e le Nazioni Unite. Il generale ha detto anche che Unifil «non ha potuto eseguire le ricerche e i controlli per verificare la presenza di armi, anche all’interno di proprietà private individuate dall’intelligence o dall’attività di raccolta informazioni sul terreno, per impedire che ci fossero minacce che avrebbero potuto sfidare Israele e provocare una reazione contro il Libano». È la descrizione di un fallimento.


Se potessero parlare, i nostri militari, a cui certo non difetta l’invettiva e l’iniziativa, direbbero anche cosa è successo quando hanno provato a forzare l’ipocrisia della situazione e hanno indicato alle forze di polizia libanesi, le uniche che possono operare nell’area, i depositi di armi.
Sono stati scritti numerosi report su questo. Destinati a New York e alle Nazioni Unite. In copia al nostro ministero della Difesa. Sarebbe anche l’ora che diventassero pubblici. Prima che sia troppo tardi. Ieri mattina una pattuglia italiana ha scoperto una serie di ordigni esplosivi incendiari lungo la strada che conduce alla nostra base operativa UNP 1-32A. L’area è stata messa in sicurezza. Di chi sono quegli ordigni? Chi li ha piazzati lì?


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