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Tra il 9 giugno (Europee) e il 5 novembre (Presidenziali USA) si giocano le sorti del modello liberal-democratico


In attesa dell’esito del voto è tempo di bilanci, di qualche verità scomoda e infine di riscoprire il nostro destino comune.
Ma procediamo con ordine e chiediamoci prima di tutto, riavvolgendo brevemente il nastro, cosa è stato fatto tra Bruxelles, Strasburgo e le principali cancellerie europee per affrontare i “cinque anni che hanno sconvolto il mondo”, cioè i complicati anni trascorsi tra il 2019 (ultimo voto europeo) ed oggi. Pandemia, crisi economica, crisi energetica, più due guerre (Ucraina e Medioriente) e mezza (se si considera anche la situazione nel Mar Rosso). Si potrà discutere su tempestività, si potrà parlare di risposte non sempre univoche ma è indubbio che l’elenco delle iniziative europee assunte è lungo, significativo e per nulla disprezzabile.

Acquisto comune di vaccini, piano anti-disoccupazione, piano di rilancio post-pandemico (Next Generation Eu), sanzioni alla Russia, tetto al prezzo del gas, invio di armi e denaro a Kiev. Tutto sicuramente migliorabile ma comunque piuttosto significativo. E a dimostrazione del valore di quanto prodotto dalle istituzioni europee e dal lavoro coordinato degli Stati membri si può aggiungere un altro importante dato: si tratta del mutamento strutturale del concetto di antieuropeismo. Sarebbe assurdo certificarne la scomparsa, ma è indubbia la sua mutazione.

IL NUOVO EUROPEISMO E IL MODELLO LIBERAL-DEMOCRATICO

Tutti i richiami all’emulazione di Brexit si sono dissolti e a dominare negli ambienti critici o tradizionalmente antieuropeisti è un sentimento oggi euroscettico, che si concretizza quasi esclusivamente in visioni alternative di Europa. Giorgia Meloni in Italia e Marine Le Pen in Francia, personalità e percorsi per molti versi distanti, sono però emblematiche nella loro condotta di questo mutamento in atto. Meloni da capo del governo italiano ha mostrato tutto il suo pragmatismo e vero e proprio realismo politico, fino a comprendere l’importanza di essere “parte integrante dell’establishment europeo”.

Marine Le Pen, nel suo prendere le distanze dai tedeschi di AfD e nel suo distinguersi tra gli altri dalle posizioni della Lega di Salvini, conferma un dato incontrovertibile: è impossibile in questo primo quarto di XXI secolo pensare di arrivare alla guida di uno dei principali Paesi dell’Ue da posizioni antieuropee. L’Unione, volenti o nolenti, sta europeizzando estremismi e radicalismi.
Se il primo punto era quello del bicchiere mezzo pieno, serve anche occuparsi di quello mezzo vuoto. E qui si entra nell’ambito delle verità scomode e dei passi imprescindibili da fare nel prossimo lustro.

PUNTARE SU UN VERO CAMBIO DI PASSO

Occorre innanzitutto smettere di parlare di cooperazioni rafforzate e finalmente promuoverle ed attuarle. La strada della modifica dei trattati è troppo lunga e tortuosa. È necessario procedere come avvenuto per Schengen o per la moneta unica. L’intendance suivra!, come amava affermare il generale de Gaulle sottolineando il primato del politico su qualsiasi altra iniziativa. E servono appunto prese di posizioni politiche forti da parte di un nucleo selezionato di “volenterosi”. Su quali temi? La risposta ha molto a che fare con la verità, che va assolutamente detta ai cittadini europei.

Almeno quattro sono i dossiers imprescindibili: procedere sulle politiche green, dotarsi di un’autonomia strategica (vedi difesa comune), dotarsi di una reale politica euromediterranea e accelerare nel sostegno e nella membership dell’Ucraina. Tutto ciò ha costi politici ma ancor di più economici enormi. Serviranno gli eurobonds (e quindi nuovo debito comune) e soprattutto servirà stabilire delle priorità. Non esistono al momento orizzonti realistici che possano far pensare a disponibilità economiche per procedere lungo questi quattro assi contemporaneamente e con uguale intensità. Occorre il coraggio di scegliere e concentrare le forze (limitate) sulle necessità più urgenti e non procrastinabili. Il tempo dell’ordinaria amministrazione è finito. Con il tragico che è tornato prepotentemente a fare irruzione nelle nostre vite, occorrono risposte coerenti e soprattutto precise nella loro essenzialità. Una forte azione pedagogica nei confronti dei cittadini europei costituisce un primo passo non procrastinabile.

IL PESO DEI PASSAGGI ELETTORALI NEI VARI PAESI EUROPEI

Proprio per questa ragione, tra il 6 e il 9 giugno, i passaggi elettorali dei 27 Paesi membri non hanno tutti lo stesso peso. Il peso specifico sarà superiore alla media sicuramente a Parigi, dato il probabile trionfo del Rassemblement National e soprattutto, fatto ancor più delicato, la quasi certa debacle dei liberali macroniani. A Berlino occhi puntati su Scholz, più che sul quasi certo exploit di Afd. Il rischio concreto è quello di ritrovarsi con un asse franco-tedesco non solo litigioso ma anche guidato nei prossimi mesi da leader “azzoppati”. Altri tre osservatori privilegiati saranno l’Olanda (per chiarirsi con quale legittimazione Wilders entrerà al governo), la Spagna (per vedere se Sanchez sarà il simbolo dei socialisti che non crollano) e infine Varsavia (per capire se Tusk potrà certificare il tramonto della stella del Pis e di conseguenza Meloni con i suoi Fratelli d’Italia potrà dominare davvero Ecr).

In definitiva un crollo contemporaneo dei socialisti spagnoli e dei socialdemocratici tedeschi e dei macroniani (asse portante di Renew) creerebbe qualche difficoltà in più ad una rapida e coerente scelta dei cosiddetti tre “top jobs”, cioè presidenza della Commissione, presidenza del Consiglio e Alto Rappresentante (più successiva composizione della Commissione). E una maggioranza farraginosa al Parlamento di Strasburgo, e di conseguenza scelte controverse e al ribasso sui tre “top jobs”, inciderebbero negativamente sulla nuova pagina che si aprirà il 10 giugno.

NON SOLO EUROPA, ASSIEME ALLE ELEZIONI USA IN GIOCO IL MODELLO LIBERAL-DEMOCRATICO

Infine, anche su questo ultimo punto, occorre essere chiari. Lunedì 10 giugno non si chiude un capitolo o una parentesi, ma al contrario inizia un conto alla rovescia, quello in vista del 5 novembre 2024, data del voto negli Stati Uniti d’America. Occorre giungere a quell’appuntamento con idee chiare e pragmatismo, ma soprattutto consapevoli che nella migliore delle ipotesi sarà necessario confermare e rilanciare il nostro comune destino euro-atlantico e nella peggiore occorrerà farsi carico di un protagonismo europeo mai sperimentato negli ultimi due secoli.

Tra il 9 giugno e il 5 novembre si giocano in definitiva le sorti del modello liberal-democratico che, occorre ricordarlo, potrà anche essere la peggiore forma di governo, ma solo se si escludono tutte le altre fino ad oggi sperimentate al suo posto.


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