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Il vertice Nato a Vilnius

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L’ADESIONE alla Nato per l’Ucraina era impossibile. Volodymyr Zelensky lo sapeva bene e, nell’attesa, ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Prima di arrivare a Vilnius per il vertice, il presidente ucraino aveva giudicato «assurda» la mancanza di una tempistica per l’adesione, ma alla fine ha elogiato la Nato per le pur caute aperture: alla fin fine, i paesi del Patto atlantico stanno garantendo a Kiev soldi e armi per riconquistare i territori occupati dalle truppe di Mosca. Stoltenberg ha offerto un’alternativa: semplificare le procedure per l’ingresso appena ci saranno le condizioni. Per evitare che Zelensky andasse via da Vilnius a mani vuote sono stati fissati alcuni paletti: nell’attesa dell’ingresso di Kiev nella Nato, all’Ucraina non sarà richiesto il Piano d’azione per l’adesione, che è stato risparmiato anche alla Svezia e alla Finlandia. È stato creato un Consiglio Nato-Ucraina, un nuovo organismo congiunto per approfondire le relazioni tra alleati. Sarà esteso, infine, un programma di assistenza per «aiutare a ricostruire il settore della sicurezza e della difesa ucraino e far passare l’Ucraina alla piena interoperabilità con la Nato».

LA DIFFIDENZA DI KIEV SULLE PROMESSE

Tutto molto bello, ma la conditio sine qua non per l’ingresso definitivo di Kiev nella Nato resta enorme: deve finire la guerra, questa l’attesa maggiore, perché nessun Paese può entrare nella Nato se è protagonista di un conflitto e Zelensky lo sa. Da tempo l’Ucraina non si accontenta più delle promesse cartacee. E si capisce perché. Nel 1994, per esempio, in base al Memorandum di Budapest, rinunciò al proprio arsenale di armi nucleari di epoca sovietica, che all’epoca era il terzo più grande al mondo, in cambio di varie garanzie di sicurezza da parte di Russia, Stati Uniti e Regno Unito. Tutte garanzie che non contarono più nulla nel 2014 e nel 2022. Certo, oggi la situazione è radicalmente mutata: il sostegno militare dei Paesi che appartengono alla Nato è piuttosto consistente e sta permettendo alla resistenza ucraina di fronteggiare il moloch russo. Nel mondo che cambia, il caso ucraino è del tutto inedito. E in una prospettiva geopolitica bisogna forse avere la lungimiranza di interpretarlo in una chiave nuova. Anche perché la guerra potrebbe durare a lungo. È quasi un circolo vizioso: dicendo all’Ucraina che non potrà entrare nella Nato se prima la guerra non sarà finita, di fatto si stimolano i due contendenti a proseguire le ostilità fino alla fine

NATO, LE CONDIZIONI PER L’INGRESSO

Per l’Ucraina, a questo punto vincere la guerra diventa cruciale: non solamente per riconquistare la sovranità perduta sui territori occupati e l’indipendenza definitiva dalla Russia, ma anche per riuscire a entrare a pieno titolo nella cerchia di quei Paesi occidentali che sono riuniti nell’Alleanza atlantica, garantendosi in questo modo una protezione militare. Per la Russia, allo stesso modo, può diventare assolutamente vitale mantenere una guerra permanente per evitare che una regione che considera fondamentale per la propria identità e sicurezza possa passare definitivamente nel campo del nemico.

Per i Paesi membri della Nato, infine, resta vivo il timore delle conseguenze insite nell’articolo 5 del Trattato atlantico: se un Paese alleato viene attaccato, infatti, scatta automaticamente un dovere di difesa in capo agli altri membri. L’ingresso dell’Ucraina a guerra in corso significherebbe, di fatto, trascinare nel conflitto l’intero continente europeo. Con l’esclusione, forse, dei Paesi dell’Europa baltica e orientale, nessuno degli altri è attualmente pronto per impegnare direttamente i propri soldati. Gli Stati Uniti conoscono bene le mollezze dei Paesi europei. Non deve stupire, pertanto, se la Casa Bianca sta ancora bloccando l’adesione dell’Ucraina. Gli Usa vogliono che gli europei si prendano più cura della propria difesa e non vogliono semplicemente aggiungere un altro Paese europeo tra quelli che devono già difendere.

PER KIEV SPUNTA IL MODELLO ISRAELIANO

Ecco, allora, che comincia a farsi strada l’idea di una estensione all’Ucraina del “modello israeliano” che ricalcherebbe l’esplicito sostegno militare che Washington fornisce allo stato ebraico. Gli Stati Uniti, infatti, attualmente si impegnano a garantire che Israele abbia un «vantaggio militare qualitativo» in Medio Oriente e firmano memorandum d’intesa ogni dieci anni. Anche per l’Ucraina potrebbe accadere qualcosa di simile. In prospettiva, la scelta per i membri della Nato sembra proprio questa. Da una parte, il modello “pratico” di Israele: l’Ucraina che si difende da sola, armata fino ai denti dai Paesi alleati. Dall’altra parte, il modello Nato, con l’impegno diretto degli eserciti alleati nel conflitto. Entrambi i modelli sono piuttosto costosi sul piano degli investimenti economici. Ma il secondo richiederebbe pure il sacrificio delle vite dei propri soldati. Un costo che sicuramente nessuno è pronto ad affrontare.


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