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Joe Biden

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LA RINUNCIA alla candidatura a presidente degli Usa di Joe Biden ricorda, anche grazie al Post attraverso il quale è stata resa nota, il gesto di quei comandanti dell’Armata Rossa distintisi durante le guerra civile, che, caduti vittime delle Grandi Purghe di Stalin tra il 1937-1938, davanti ai plotoni di esecuzione attendevano la scarica al grido di ‘’viva Stalin’’. Nel caso di Biden per fortuna non scorre sangue e da ex presidente degli Usa potrà godersi in Delaware, insieme alla moglie Jill, quanto gli rimane in attesa del Grande Sonno.

Biden nella lettera, non rinuncia a ribadire quali fossero le sue volontà: “E anche se era mia intenzione cercare la rielezionea presidente degli Usa”, ma accetta le sollecitazioni a cui è sottoposto da settimane: “Credo che sia nel miglior interesse del mio partito e del Paese di ritirami e concentrarmi solamente sui mai compiti come presidente per il resto del mandato”. Nessuna recriminazione, dunque; e il partito – come avviene in questi casi – lo ringrazia per il suo patriottismo e l’attaccamento alla causa.

L’onore delle armi – con un giudizio sul suo operato alla Casa Bianca – è venuto da Bill e Hillary Clinton. “Il Presidente Biden ha coronato la sua straordinaria carriera di servizio con una Presidenza che ha tirato fuori gli Usa da una pandemia senza precedenti, ha creato milioni di nuovi posti di lavoro, ha ricostruito un’economia malconcia, ha rafforzato la nostra democrazia e ha ripristinato la nostra posizione nel mondo. Da ogni punto di vista, ha portato avanti l’incarico dei nostri fondatori di costruire un’unione più perfetta e il suo stesso obiettivo dichiarato di ripristinare l’anima della nostra nazione”.

L’ULTIMA VENDETTA DI BIDEN DA PRESIDENTE USA

La coppia/monumento del Partito democratico, poi, si è impegnata anche a sostenere Kamala Harris, la vice presidente la cui candidatura è sostenuta da Biden. Alcuni osservatori (maligni?) sostengono che in questa proposta sta una piccola vendetta del vecchio Joe nei confronti del partito, perché il suo ritiro è come l’apertura del vaso di Pandora, destinata a solleticare appetiti anche in altri esponenti dell’establishment democratico, che potrebbero rendere la Convention di Chicago (tra un mese) teatro di una divisione ancor più evidente del partito che quattro anni fa trovò in Biden un punto di equilibrio che ora non sarà facile da recuperare. In tempi recenti ci sono stati molti casi di presidenti che sono stati sconfitti quando si erano candidati per il secondo mandato (quello – dicono i politologi – in cui il presidente, se dispone della maggioranza al Congresso, può fare ciò che vuole perché non ha il problema di ricandidarsi per un ulteriore quadriennio). Fu solo Lyndon Johnson che, travolto dalle contestazioni per la guerra in Vietnam – una brutta avventura che aveva ereditato da John F. Kennedy – non volle ripresentare la sua candidatura. Eppure Johnson fu il presidente della Great Society, quello che riuscì a portare a compimento il programma del suo predecessore, assassinato a Dallas, prima di aver terminato il suo primo mandato.

Il Partito democratico mandò allo sbaraglio il vice presidente Hubert Humphrey che fu sconfitto dal repubblicano Richard Nixon, l’inquilino della Casa Bianca che fu travolto, anni dopo, dallo scandalo del Watergate e costretto alle dimissioni. Credo che nella storia degli Usa nel XX secolo, Nixon si sia portato nella tomba un irrevocabile giudizio negativo dei suoi concittadini, anche se da presidente, con la collaborazione di Henry Kissinger, portò gli Usa fuori dalla trappola del Vietnam, riconobbe e ammise nei circuiti internazionali la Cina popolare, abolì la convertibilità del dollaro ponendo fine al sistema monetario di Bretton Woods.

C’è qualche somiglianza tra il caso di Joe Biden e quello dei suoi predecessori presidenti degli Usa? Ne vediamo solo una: l’essere stato indotto controvoglia ad abbandonare il campo. Per il resto che cosa si può rimproverare a questo vecchio e gentile signore d’altri tempi? L’aver perduto un dibattito televisivo con un teppista? L’incespicare camminando e nel salire le scale? L’impappinarsi nella lettura dei discorsi riprodotti sui video? La dimenticanza di nomi e di località? Tutti handicap dovuti all’età che tuttavia non gli hanno impedito – lo hanno sottolineato i Clinton – di prendere decisioni importanti persino ‘’sul filo del rasoio’’ di una terza guerra mondiale. Se è vero che gli elettori votano innanzi tutto col portafoglio, l’economia e l’occupazione negli Usa in questi anni hanno attraversato un periodo positivo, grazie anche agli investimenti effettuati dall’Amministrazione.

CLOONEY E DOUGLAS PIÙ TRANQUILLI

Mentre Biden partecipava al G7 in Puglia, dove sono state assunte importanti decisioni o sedeva a Washington con i rappresenti dei Paesi aderenti alla Nato i democratici si interrogavano dubbiosi se fosse in grado di fare ciò che stava facendo sotto gli occhi del mondo. In Normandia, quando ha partecipato alla celebrazione del D Day ha pronunciato un discorso (magari glielo avranno scritto i ghostwriter come tutti i grandi discorsi passati alla storia) che esprimeva una visione lucida di ciò che un glorioso passato può insegnare ad un incerto futuro. Cosa fatta, capo ha. George Clooney e Michael Douglas saranno tranquilli adesso. Fino a quando magari al prossimo dibattito televisivo Kamala Harris non riuscirà ad avere la meglio nei confronti del ticket repubblicano. Perché per battere Trump si deve ricorrere all’insulto, al turpiloquio; bisogna venire alle mani. Cosa faranno allora i democratici? Candideranno Mike Tyson?

Intanto Joe Biden ha davanti a sé alcuni mesi nel corso dei quali può tentare di non rendere del tutto vano la linea di condotta della sua Amministrazione. Poi anche per Biden vale la regola dei valorosi: i vecchi soldati non muoiono mai. Si allontanano nella nebbia. E spariscono.


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