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Si gioca l’asso Tajani alla guida della commissione Ue: mezzo Ppe non gradisce von der Leyen, mentre Metsola e Mitsotakis non sembrano avere grandi possibilità di essere eletti
Ormai è diventato il più rassicurante, sia in Italia sia in Europa. È la forza di Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, che da eterno secondo è un primo della classe per distacco.
I maligni sussurrano che tutto questo non sia merito suo ma sia più dipeso «dall’inadeguatezza degli altri». I sostenitori del leader di Forza Italia argomentano invece in questi termini: «Antonio è l’unico che in questi lunghi 30 anni ha studiato e ha raggiunto un livello di autorevolezza che in Italia hanno in pochi».
La sua forza è la moderazione, dote che viene apprezzata in Parlamento, ma soprattutto oltre i confini italiani. Manfred Weber, leader dei popolari, in un’intervista al Corriere della Sera l’ha di fatto incoronato per un ruolo, senza fare alcun riferimento alla presidenza della Commissione.
L’ENDORSEMENT DEL PPE
Strategia, tatticismo, chissà. «Sono il leader del Ppe – ha scolpito Weber – e il mio partner e amico è Antonio Tajani, leader di FI. In Italia c’è un governo forte e affidabile di centrodestra che Tajani e Meloni stanno gestendo bene. Tajani è il pilastro europeo. C’è un muro contro ogni forma di estremismo e invitiamo tutti gli altri a unirsi a noi. Il voto sulla migrazione, con FdI a favore e il Pd contro, dà una chiara indicazione su chi sia pronto ad accettare i compromessi europei».
Non è un mistero che, dopo il voto dell’8 e 9 giugno, il Partito popolare sarà quasi certamente il primo partito. E siederà al tavolo delle trattative per la costituzione della nuova maggioranza da una posizione di forza. In estrema sintesi, dicono a più livelli tra Bruxelles e Roma, «il prossimo presidente della Commissione dovrà uscire dal mazzo dei popolari».
Ed è qui che arriva il bello. I popolari hanno una rosa di nomi. La prescelta è Ursula von der Leyen ma – come è noto da qualche settimana – non naviga in buone acque. Mezzo Ppe non la gradisce e anche nell’attuale maggioranza europea non ha più il consenso di un tempo. Anche perché ha gestito una fase complicata negli ultimi cinque anni e adesso – da quanto filtra – servirebbe una leadership più fresca, in grado di sopportare un contesto non facile che potrebbe ulteriormente complicarsi con il ritorno di Trump.
Le altre soluzioni interne al Ppe non sembrano scaldare gli animi europei. I restanti profili appaiono deboli. Si fa il nome di Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo, ma non aiuta il suo Paese di appartenenza. Gira anche il nome del greco Kyriakos Mitsotakis, ma è improbabile che Germania o Francia sostengano un presidente di Commissione greco. Tutto ciò porta a dire che Tajani è in campo. Eccome se lo è.
GLI ASSI NELLA MANICA
Il curriculum è dalla sua parte. Appartiene a uno dei Paesi fondatori, l’Italia. Ha alle spalle un’esperienza da presidente dell’Europarlamento e da vicepresidente della Commissione Ue. È stimato da quasi tutto l’arco costituzionale e potrebbe ottenere un consenso larghissimo, oltre la maggioranza Ursula, includendo anche i conservatori e, perché no, un pezzo di sovranisti. Non a caso si domandano in Transatlantico: «Come si comporterebbe Salvini? Semplice, Matteo non avrebbe altra scelta: dovrebbe votare e sostenere Antonio».
Poi, certo, come in tutte le cose ci sono aspetti positivi e negativi. Per Meloni sarebbe vantaggioso avere un presidente della commissione come Tajani con cui ha un rapporto di vecchia data e che di fatto proteggerebbe l’Italia. Dopodiché, forse, la presidente del Consiglio sarebbe preoccupata da quello che potrebbe accadere nel suo governo. L’uscita di Tajani destabilizzerebbe Forza Italia? Potrebbe innescare una crisi dell’Esecutivo? L’attuale vicepremier è anche il leader degli azzurri, e a quel punto dovrebbe sfilarsi dal partito. Fin qui il ministro degli Esteri ha contenuto i malumori interni apparsi all’indomani della scomparsa di Silvio Berlusconi. Una volta uscito dal partito, tornerebbero a farsi sentire gli anti-tajaniani.
I VETI INCROCIATI
Nell’attesa, Tajani non si scompone, continua a utilizzare l’arma della moderazione. L’obiettivo è superare il 10%: «Sono assolutamente fiducioso perché girando per l’Italia vedo tanto entusiasmo, tanto consenso nei confronti di una forza rassicurante, seria, credibile, affidabile e responsabile. Faremo un ottimo risultato». Allo stesso tempo è convinto che dopo le Europee non ci sarà alcun scossone: l’Esecutivo può fare sonni tranquilli. «E noi non chiederemo nulla anche se andremo benissimo come Forza Italia».
La stabilità prima di tutto, restando ancorati all’europeismo. E senza perdere di vista quello che potrebbe succedere all’indomani del voto delle Europee. Ecco perché, forse per strizzare l’occhio ai socialisti, dice che «finché la Lega sarà con Id, nessuno farà accordi con la Lega. Nel Ppe non lo vogliono fare, non vogliono fare un governo con forze anti-europeiste».
Una premessa che viene seguita da un passaggio in cui sembra ingraziarsi il Carroccio: «La Lega è già diversa, ma sta dentro quella famiglia. L’unica coalizione alternativa ai socialisti è quella con popolari, conservatori e liberali. Se la Lega se ne va, potrebbe entrare a far parte della maggioranza. Noi saremmo favorevoli».
Nessun riferimento a chi sarà il presidente della Commissione. Ma Tajani è consapevole che lo scenario potrebbe alla fine volgere a suo favore. Nel gioco dei veti incrociati – confidano in Transatlantico – «il nome di Antonio sarà quello più spendibile». E la questione non vale solo per la Commissione europea.
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