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Giuseppe Conte, Alessandra Todde ed Elly Schlein sorridenti dopo la vittoria in Sardegna

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E ORA? Ora si apre lo scontro e sarà durissimo: nel centrodestra c’è una Lega ferita dopo la sconfitta in Sardegna che non è più disposta a cedere di un millimetro e andrà fino in fondo sul terzo mandato. È inutile girarci intorno. L’imperativo dopo lo scivolone sardo è: salviamo il soldato Luca Zaia. Allungare la vita da Doge, arroccarsi in Veneto sapendo bene che potrebbe essere l’ultima casamatta. Va bene fare l’analisi del voto, riconoscere gli errori, aver trascurato i territori, provocato gli elettori sardi con le baruffe chiozzotte prima di silurare Solinas. Una sceneggiata andata avanti per mesi. Ma la sconfitta in contropiede, la prima Regione “regalata” a una presidente grillina, accelerano tutto. Fatalmente, la commissione Affari costituzionali che aveva appena licenziato il dissennato disegno di legge sull’Autonomia differenziata e iniziato a discutere di premierato tanto caro alla Meloni, ora tornerà centrale. All’ordine del giorno ci sarà il decreto Enti locali. Una mina pronta a esplodere, un pericolo non solo per il Centrodestra ma anche per il Centrosinistra.

COALIZIONI DEL CENTRODESTRA CONFUSE DOPO IL KO IN SARDEGNA

Non solo l’uno contro l’altro, ma in lotta con le loro componenti interne. Perché nel centrodestra se è vero che dopo la Sardegna il Carroccio alzerà le trincee per non perdere il Veneto, è altrettanto vero che il Pd sul terzo mandato ai governatori potrebbe farsi male. Molto male. Lo vorrebbe il presidente dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, che ha mandato in avanscoperta il fido Alfieri. Lo vorrebbe il suo omologo campano, Vincenzo De Luca, da sempre ai ferri corti con Schlein. E lo vorrebbe anche il pugliese Michele Emiliano. Cose già note, scene già viste, protagonisti in commedia da molto tempo che ora, dopo il voto di domenica scorsa, rilanciano la sfida alla segretaria uscita rafforzata dal voto. Ma è questo che serve al Paese? Si aspetta la prossima mossa di Giorgia Meloni. Uscita malconcia dalle elezioni, la premier potrebbe, secondo qualcuno, porre la fiducia. Un’altra prova di forza.

La sconfitta di Truzzu in Sardegna, uno dei giovani della generazione Atreju, brucia a tutto il centrodestra. Non tanto per quel pugno di voti che ha determinato la sconfitta, ma per le modalità in cui è maturata. Il centrodestra, conti alla mano, ha preso più voti, il 48% circa contro il 42% della coalizione che sosteneva Todde. La riprova che si è trattato di una sorta di suicidio assistito.

Spiega Fabio Rampelli, da sempre una delle testa pensanti di Fratelli d’Italia: «Il giudizio dei sardi sulla giunta regionale uscente era, come si sa, molto negativo – ammette – Per questo si è deciso di mettere in campo un candidato diverso. Truzzu, sindaco del capoluogo regionale, è sembrato il più attrezzato e capace, scelto dal centrodestra sardo. Penso che non si siano fatti i conti con l’insoddisfazione dei cittadini verso di lui, causata anche dai tanti lavori disseminati su Cagliari». Colpa di Truzzu? «Il giudizio sul governo nazionale è positivo, in Sardegna il centrodestra cresce e batte il centrosinistra, forse si doveva sondare meglio, tuttavia Paolo Truzzu è una prima scelta e non certamente un ripiego».

VINCE CHI FUGGE (DALLA SARDEGNA)

Il Pd in Sardegna è il primo partito con il 13,8%, davanti a FdI che ha il 13,6%, prende più voti del M5S e della lista civica che sosteneva Todde. Ergo: l’asse Pd-M5S può gridare vittoria. E in avvicinamento torna anche Carlo Calenda, il leader di Azione che ieri non ha escluso aperture. «Mai più da soli alle regionali» promette. E Schlein commenta: «È una bella notizia». Mentre Matteo Renzi per ora si limita a criticare Meloni «sconfitta dalla sua mossa arrogante» ma si tiene distante. Chi ha vinto? Ha vinto l’assenza. La scelta dei due leader del centrosinistra Giuseppe Conte ed Elly Schlein di non apparire. Rendersi invisibili, mimetizzarsi. L’esperimento può dirsi riuscito. Ma da qui a farlo passare per un “metodo” e riproporlo in altre elezioni non sarà semplice. «Spero che la Sardegna abbia sancito un metodo valido anche per il futuro, un insieme di forze che prima di tutto hanno iniziato a individuare un terreno di impegno», esulta Licheri (M5S).

LA RIVOLTA DELLA SARDEGNA

Conta, però, anche quello che Licheri non dice. Che né Giuseppe Conte né Elly Schlein avevano prenotato lunedì scorso il biglietto aereo per Cagliari. E già questo la dice lunga sulle chance che assegnavano alla candidata della coalizione. Sullo sfondo c’è sempre la stessa Sardegna impenetrabile, sconosciuta ai partiti. «Mentre nel resto della Penisola arrivava il benessere, e con il benessere si apriva la stagione delle mille opportunità, parlare di Sardegna – aveva scritto proprio recentemente lo scrittore e sceneggiatore Marcello Fois celebrando Gigi Riva – voleva dire parlare esclusivamente di Anomina sequestri e di Costa Smeralda come poli di un non luogo, l’arcaico contro il modermo, l’afasia contro la parola, l’immobilismo contro il movimento. Gigi Riva era di Leggiuno, ma non aveva l’aria di voler insegnare niente a nessuno, il contrario di quello che hanno cercato di fare certi “lumbard” catapultati nella giunta Solinas e saliti in cattedra. Sono stati percepiti come il “Palazzo”». La legge del contrappasso, la staffetta Trezzu-Solinas come il risultato degli intrighi romani.

La Lega voleva riuscire a esportare in Sardegna il suo concetto di autonomia, un concentrato di egoismi territoriali che non ha nulla a che vedere con l’identità sarda. Due mondi distinti. Fra il sindaco cagliaritano controfigura di Giorgia Meloni e Alessandra Todde, l’imprenditrice nuorese, barbaricina, cresciuta leggendo i libri di Salvatore Niffoi, gli elettori sardi non hanno avuto dubbi. Attenti, dunque, a trasferire nel Continente lo stesso modello. Tra una decina di giorni si voterà in Abruzzo. E di Sardegna ce n’è una sola.


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