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Giorgia Meloni con il presidente ucraino Zelensky

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NON saranno elezioni di Midterm ma possono essere ascritte alla voce «test elettorale». Lo hanno detto e sottolineato Meloni, Salvini e Berlusconi. Perché Lazio e Lombardia sono due regioni simbolo della narrazione del centrodestra. In particolare, la prima rappresenta il territorio più vicino alla storia di Giorgia Meloni. Non solo perché l’inquilina di Palazzo Chigi è nata e cresciuta politicamente nel Lazio ma anche perché Fratelli d’Italia da queste parti veleggia oltre il 30%. E dunque il centrodestra ha l’occasione ghiotta di riconquistare la Pisana dopo gli anni di Zingaretti e dell’esperimento di governo Pd-M5S.

La Lombardia, invece, è stata la culla del leghismo. Dal 1995 la regione è guidata dal centrodestra e il Carroccio è stato sempre il primo partito. Il centrodestra lombardo sembra essere sicuro di riconquistare il Pirellone, anche grazie alla frammentazione dell’opposizione: il dem Pierfrancesco Majorino sostenuto dal M5S, e Letizia Moratti, già ministra dei governi Berlusconi, appoggiata dal Terzo Polo di Renzi e Calenda. Ed è vero che la somma algebrica in politica non fa mai il totale. Ma è certo che un’opposizione compatta avrebbe potuto avere più chances di competere sia in Lombardia, sia nel Lazio. In più, il Pd è sotto congresso dall’indomani delle elezioni politiche. E dovrà aspettare il prossimo 26 febbraio per conoscere chi sarà il segretario che succederà ad Enrico Letta e per sapere quale strategia dei prossimi mesi: risposare l’asse con i 5Stelle o strutturare l’alleanza con Renzi e Calenda?. Occhio all’astensione, fenomeno che continua a crescere di elezione in elezione.

Occhio soprattutto ai rapporti di forza nella coalizione di centrodestra. La Lega rischia di crollare e finire risucchiata dall’azionista di maggioranza, ovvero da Fratelli d’Italia. Ecco perché un minuto dopo la fine dello spoglio la domanda che tanti si porranno suonerà così: e adesso cosa succederà al governo? Il voto potrà destabilizzare l’azione dell’esecutivo? Un esecutivo, si dirà, che arranca su diversi fronti. In Europa l’inquilina di Palazzo Chigi ha cercato di recuperare al Consiglio europeo ma resta la ferita aperta con la Francia di Macron. E la riproposizione di un asse franco-tedesco che ridimensiona la posizione dell’Italia.

Sul fronte interno Meloni se la dovrà ancora con il caso Cospito, con una coalizione che uscirà in maniera diversa dalle urne e soprattutto con la conclusione del Festival di Sanremo. Il centrodestra ne approfitta della settimana sanremese per invocare il cambio dei vertici di viale Mazzini. Dalle parti di Palazzo Chigi non hanno gradito l’uscita del cantante Fedez che ha strappato la foto in divisa nazista del viceministro Galeazzo Bignami. I vertici Rai erano conoscenza di cosa avrebbe fatto Fedez? «Se ne erano a conoscenza, allora si devono dimettere» è il coro di Fratelli d’Italia. Per di più, lamentano dalla maggioranza, gli Articolo 31 hanno richiesto la legalizzazione della cannabis. Tutto questo finisce sotto i riflettori e scatena la reazione del sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi di FdI: «Cambiare i vertici Rai? Giusto, occorre una narrazione del Paese dopo la nostra vittoria elettorale». Non è un mistero che l’esecutivo di centrodestra voglia un direttore generale di proprio gradimento. «Quando una forza politica che è anche espressione di un’area culturale arriva al governo del Paese per volontà dei cittadini può esprimere dei propri dirigenti che proseguano un cammino facendo una loro proposta» insiste Mazzi. Non è un caso se il Carroccio si inserisca sull’affaire viale Mazzini per sottolineare come «la Lega sia impegnata sul tema canone Rai, con l’obiettivo di sforbiciarlo. Il primo passo sarà toglierlo dalle bollette».

E così le elezioni di Lombardia e Lazio sommate all’affaire Rai diventano un terreno scivoloso per Meloni e la sua coalizione di governo.


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Alessandro Chiappetta

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