Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana e Letizia Moratti
5 minuti per la letturaSONO due poltrone. Apparentemente simili alle altre. Anzi considerate dai precedenti governi di “risulta”. Uno strapuntino che non ha consentito a nessuno finora di lasciarvi un’impronta profonda. Il ministero agli Affari Regioni e il ministero per il Mezzogiorno e la Coesione territoriale. Per come storicamente vengono percepiti da Palazzo Chigi e dintorni potrebbero chiamarsi ministero del Nord e ministero del Sud senza cambiare di una virgola la loro mission principale. Che per il primo è predisporre l’ennesimo disegno di legge sull’autonomia differenziata, lavorando sottotraccia per tenersi buoni in questo modo i governatori del Veneto e della Lombardia lasciandoli appesi ad una promessa. E per il secondo fare in modo che quel progetto dissennato non arrivi mai a dama. Né aderire né sabotare, insomma, il motto della Seconda internazionale che non riuscì ad evitare la guerra. Finora, non ce ne vogliano i ministri che si sono avvicendati in quel ruolo, chi più, chi meno, è stato così. Il primo cuce la tela. Il secondo la scuce. Il primo cerca un accordo con i presidenti delle Regioni per disegnare il perimetro entro il quale collocare il “federalismo senza disturbare gli altri manovratori. Il secondo frena sapendo bene che l’autonomia ottenuta in questo modo e con le regole scritte dai tecnici del Carroccio sarebbe solo quella che il professor Gianfranco Viesti ha definito “la secessione dei ricchi”.
Cambiano le maggioranze. Il colore degli esecutivi, i presidenti del Consiglio, passano i giorni, i mesi, ma ad ogni nuovo governo lo scenario non cambia. Una coazione a ripetere lo stesso schema e anche lo stesso errore. Pensare che le richieste di autonomia differenziata, in un contesto di clamorose disuguaglianze, possano essere realizzate. Dare una interpretazione fuorviante dell’art.116 della nostra Costituzione, chiedere un surplus di autonomia regionale come se la modernità di questo Paese passasse attraverso il riconoscimento di un nuovo federalismo. Trattenere un quota del gettito Iva e Irpef, trasformi di fatto in una regione a statuto speciale e farlo dopo la disastrata e frammentata gestione del Covid. Alcune delle 23 materie attualmente di competenza statale, quelle che il Veneto da 5 anni rivendica – cioè da quando nelle due regioni del Nord si tenne un referendum-farsa, votando senza che fosse obbligatorio il certificato elettorale – sono ininfluenti, residuali, marginali.
L’unico vero scopo non è mai stata la conquista dell’autonomia ma quella del consenso elettorale. E Luca Zaia, che di consensi se ne intende, lo sa bene e si aggrappa al suo Santo Graal. Ora che però dopo il voto del 25 settembre quel bluff è stato scoperto. Ora che in Veneto e in Lombardia FdI, il partito che forse più di tutti si identificava con il centralismo romano, ha doppiato i voti del Carroccio, una nuova crociata leghista non avrebbe più senso e non servirebbe a nessuno.
NESSUN CONTINO A FONTANA MA PROFILI DI ALTO LIVELLO
Ne alla Lega, che arriverebbe a scoppio ritardato su un obiettivo ininfluente, né alla Meloni. Per questo i nomi da mettere sulle due caselle ancora libere – Affari regionali e Mezzogiorno – non possono corrispondere a profili di secondo piano. Se ad esempio qualcuno pensa che per uscire dallo scontro Fontana-Moratti il primo possa essere risarcito della mancata ricandidatura al Pirellone dandogli il contentino del “ministero del Nord” si sbaglia. L’autonomia differenziata svuotata ormai di qualsiasi significato in cambio del presidenzialismo è una trattativa al ribasso. E soprattutto sarebbe fatale assegnare il ministero del Mezzogiorno ad un Carneade – qualche nome di piccolo calibro è già circolato – ignorando che proprio al Sud si gioca la partita più importante, quella del Pnrr. Con la logica del manuale Cencelli il divario non si colma e il Paesi non si rilancia.
QUAGLIARIELLO: SERVE UNA NUOVA CASSA DEL MEZZOGIORNO
«Semmai ce ne fosse stato bisogno, le ultime elezioni politiche hanno confermato l’attualità di una “questione Sud’ grande come una casa – ha ricordato proprio ieri Gaetano Quagliariello, senatore di lungo corso – E credo che sia un errore affrontarla come una gara al miglior offerente, perché fra le offerte speciali, il reddito di cittadinanza, come si è visto, non temerà mai rivali. Bisogna cambiare radicalmente approccio». «Il Mezzogiorno – ha proseguito Quagliariello – si trova oggi davanti a un’opportunità. Il post-pandemia ha fatto riscoprire come punti di forza alcuni caratteri della società meridionale, e sul tappeto c’è una notevole quantità di denaro. Il problema non è disporre di risorse per il Sud, ma come impiegarle e metterle a frutto, passando dal concetto di spesa a quello di investimento”. Io credo che a tal fine sarebbe utile studiare e riproporre, riveduta e corretta per superarne i limiti del passato, una nuova Cassa del Mezzogiorno che guidi con un indirizzo organico e unitario le direttrici di intervento. Non si tratta di accentrare con approccio statalista mortificando le peculiarità territoriali e gli enti locali, ma di imprimere una direzione strategica a un passaggio epocale che per il Sud è una specie di ultima chiamata.
«Per riuscire nell’impresa – ha continuato il senatore napoletano – bisogna far tesoro degli errori passati e anche delle disfunzioni recentissime, come quelle che hanno visto alcuni interventi molto importanti del Pnrr andare a vuoto o quasi per farraginosità e complicazioni. Ci si rivolga dunque al territorio, ma si dia un approccio organico a un piano di intervento che difficilmente si ripresenterà nelle stesse proporzioni nei decenni a venire. Ritengo che una nuova Cassa del Mezzogiorno” magari con un nome più evocativo che richiami l’investimento più che la spesa – ha concluso Quagliariello – potrebbe essere uno strumento quanto mai utile».
Finora il Sud ha taciuto e se ha parlato lo ha fatto in ordine sparso. Un allarme lo ha lanciato ieri il governatore della Campania, Vincenzo De Luca. Ha detto: «Il Mezzogiorno rischia di essere cancellato, è indispensabile che il nuovo governo apra una discussione sull’autonomia differenziata, uno dei punti chiave del programma elettorale della Lega». Non sono in gioco gli equilibri della nuova maggioranza di centrodestra, i rapporti tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, ma il rispetto della Costituzione e l’unità nazionale.
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