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L’austerità che uccide l’Europa: non possiamo più permetterci di lasciare che diversità e complessità paralizzino le decisioni strategiche


L’Unione Europea, una vecchia signora che si crogiola nella sua autorevolezza passata, sembra essersi dimenticata di guardarsi allo specchio. L’intervento di Mario Draghi non è solo un richiamo, ma un vero e proprio schiaffo a un continente che, nonostante i nobili ideali di libertà, democrazia e pace, rischia l’irrilevanza su scala globale. Il suo report è un grido di allarme, un ultimatum: se l’Europa non agisce, si avvia verso una marginalizzazione che sarà irreversibile. Le sfide sono chiare, i temi in gioco evidenti: produttività, autonomia strategica, difesa, innovazione tecnologica. Eppure, in una Bruxelles paralizzata dal proprio meccanismo di unanimità, tutto ciò rischia di rimanere lettera morta.

Parliamoci chiaro: l’Europa non può più permettersi di vivere di idealismi e buoni propositi. Le economie di scala non sono un’opzione, sono un imperativo. La Cina e gli Stati Uniti giocano partite che l’Europa neanche vede, figurarsi se riesce a toccare palla. L’investimento in settori strategici come l’intelligenza artificiale, la transizione energetica e la riduzione delle dipendenze da fornitori esterni non è una scelta politica, è una questione di sopravvivenza. Draghi lo dice con la solita lucidità: “Se non saremo in grado di diventare più produttivi, dovremo scegliere cosa sacrificare”. Un messaggio inquietante, ma inevitabile. Se non facciamo nulla, dovremo ridimensionare tutte le nostre ambizioni: addio leadership tecnologica, addio faro climatico, addio attore indipendente sulla scena mondiale.

L’Europa potrebbe diventare la più grande provincia del mondo, senza nemmeno il diritto di partecipare alle grandi decisioni che determinano il futuro globale. Il quadro è ancora più desolante quando guardiamo alla politica interna. Le resistenze di Paesi come Germania e Paesi Bassi a qualsiasi aumento del bilancio comunitario sono l’emblema di una miopia che rischia di compromettere il futuro dell’intera Unione. La Germania, alle prese con una crisi di bilancio, è restia a contribuire ulteriormente, mentre i Paesi Bassi si oppongono con fermezza all’aumento dei fondi. E così, in una bolla di austerità, l’Europa si avvita su sé stessa. Incapace di comprendere che gli investimenti necessari per garantire una competitività futura sono colossali e non più rinviabili. E qui arriva il vero paradosso: l’Unione Monetaria, che doveva essere il cuore pulsante del progetto europeo, si sta rivelando il suo tallone d’Achille.

Draghi non si limita a lanciare l’idea di un’Unione Politica, la pretende. Non possiamo più permetterci di lasciare che la diversità e la complessità paralizzino le decisioni strategiche. Serve un nucleo ristretto di Paesi che guidi l’Europa, senza il vincolo dell’unanimità, che sta soffocando ogni speranza di progresso. La posta in gioco non potrebbe essere più alta: se non agiamo ora, diventeremo un continente vecchio e poco considerato. Intrappolato in una spirale di declino economico e irrilevanza geopolitica.

Draghi ha gettato il guanto di sfida, e l’ha fatto con una chiarezza che non ammette repliche: procrastinare non è più un’opzione. Solo la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, con il suo impeto distruttivo, potrebbe forse risvegliare questo gigante addormentato. Ma non possiamo aspettare (e forse neppure servirebbe) un altro terremoto politico oltre Atlantico per capire che il tempo delle illusioni è finito. L’Europa deve agire, e deve farlo ora. L’integrazione dei mercati dei capitali, la creazione di un mercato unico dell’energia, la promozione dell’innovazione tecnologica e la decarbonizzazione non sono più solo voci di un’agenda politica, ma la conditio sine qua non della nostra sopravvivenza.
Non c’è più spazio per compromessi o per la timida ambizione: o diventiamo protagonisti del nostro destino, o saremo condannati a rimanere spettatori impotenti di un mondo che va avanti senza di noi. E non dobbiamo scomodare Darwin per prevedere il finale della storia.


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