Kamala Harris con Barack Obama
3 minuti per la letturaGli Usa sono in festa, ma a Est di Kamala il mondo sta cambiando in peggio con gli equilibri che vanno spostandosi in maniera veloce
MENTRE gli Stati Uniti (e il mondo intero) sono impegnati ad applaudire e a sognare (come in un film di Hollywood) intorno alla campagna di Kamala Harris, nuova eroina (fino a prova elettorale eventualmente contraria) di un’America democratica, sociale e inclusiva, la realtà a Est della potenza a stelle e strisce (non più così centrale rispetto alle sorti del mondo) evolve e, in particolare, peggiora: un aspetto per noi italiani ed europei preoccupante visto che il motore americano non è sufficiente a tenere in vita la balbettante economia del Vecchio Continente.
Partiamo dalla Cina, dove a inizio settimana è avvenuto un fatto preoccupante: la Banca centrale ha infatti deciso di bloccare la corsa all’acquisto di bond governativi (a 10 anni), che non conosceva sosta nonostante i rendimenti fossero scesi dal 2.6% al 2,18% in un solo anno. Un rally che si spiega con l’assenza di alternative di investimento credibili ma che rivela l’enorme debolezza del Dragone, dove le banche preferiscono investire in titoli sicuri (a rischio zero) piuttosto che prestare denaro a imprese e consumatori. La decisione del Partito, letta in questa chiave, rappresenta pertanto una scorciatoia per cercare di ridare energia alla debole economia interna ma di fatto è espressione dell’incapacità della leadership di Pechino di affrontare i temi chiave per risolvere strutturalmente la determinanti alla base della difficile situazione interna. Il mercato immobiliare è in fortissima crisi, la domanda interna non dà segni di crescita, gli investimenti languono: servirebbe ben altro, ovvero riforme e non palliativi di politica monetaria. Non solo. Negli ultimi anni, la transizione energetica ha inasprito le relazioni economiche globali, portando a un aumento delle politiche protezionistiche e dei dazi doganali.
L’Unione Europea e la Cina sono ora coinvolte in un nuovo scontro commerciale, con Pechino che ieri ha deciso, in risposta ai dazi imposti da Bruxelles sulle auto elettriche cinesi, di lanciare una indagine sulla presenza di eventuali politiche di dumping dell’UE con riferimento al settore lattiero-caseario europeo. L’UE ha infatti imposto dazi fino al 37% sulle auto elettriche cinesi, minacciando l’industria automobilistica di Pechino. In risposta, la Cina ha avviato un’indagine con l’intento di colpire paesi come Francia, Irlanda e Italia, principali esportatori verso la Cina. Questa escalation di misure protezionistiche potrebbe portare a una frammentazione del commercio globale, con un indebolimento complessivo dell’economia mondiale e una forte penalizzazione per un Paese esportatore come l’Italia. L’Europa dovrà trovare un equilibrio, non semplice, tra la difesa dei propri interessi e il rischio di alimentare ulteriormente una guerra commerciale che potrebbe danneggiare tutti, Bruxelles in primis.
Se spostiamo lo sguardo un po’ più a sud, la guerra più che economica è guerra di trincea. Il tentativo (più politico che diplomatico) di Blinken & Biden di piantare una bandiera di pace nella striscia di Gaza rischia di fallire miseramente (e forse è così che doveva andare, dal momento che gli Stati Uniti non possono più stare in silenzio rispetto al conflitto ma, al tempo stesso, non possono rischiare di prendersi la responsabilità di una guerra in piena campagna elettorale). L’Iran e il fronte sciita, oltre che il contrattacco nei confronti di un Netanyahu che non ci pensa un attimo a togliere il guanto d’arme, devono affrontare sanguinosi conflitti interni. Non solo la pace, ma anche una semplice tregua in Medio oriente, per il momento, è una fragilissima utopia. La stessa che viviamo a Kiev.
L’effetto Kamala, per quanto affascinante, sposta quindi il nostro sguardo ma non la realtà dei fatti. Viviamo in un mondo multipolare, dove ogni polo sembra una mina pronta a scoppiare. Una situazione che, per il momento, potremmo definire caos. Giusto per non pensare a un possibile momento in cui il caos, per sua natura incontrollabile, potrebbe culminare in quella guerra che, anche scaramanticamente, non vorrei neppure nominare, ma che è un rischio concreto quando i nervi prendono il sopravvento sulla ragione. Ah, anticipo le eventuali critiche di questa analisi. Un denominatore comune c’è. Ed è un tempo piccolo. Meno di una settimana. In cui è successo tutto. Mentre noi sognavamo Kamala.
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