Ursula von der Leyen
7 minuti per la letturaSiamo davanti alla duplice ipocrisia del grido d’allarme governativo che porta al trattenimento fino a 18 mesi per il rimpatrio o al buonismo dell’opposizione che ignora la bomba sociale da disinnescare per eccitare entrambi a fini elettorali le opinioni pubbliche. Così è anche in Francia e Germania. Servono invece rotte legali e Piano Africa educativo, con scuole tecniche e università del Mediterraneo, e di investimenti infrastrutturali. Finanziato dal bilancio degli Stati Uniti d’Europa che non esiste e sostenuto dalla diplomazia della nuova Onu che non esiste. La von der Leyen non è Delors e la partita dell’integrazione che salva l’Europa non comincia. Soffrono tutti ma noi di più con il rischio Italia che porta il BTp decennale al 4,51%
L’unica cosa che si dovrebbe fare per affrontare seriamente la grande questione dei migranti ovviamente non avviene. Riunire con urgenza un vertice straordinario di tutti i Capi di Stato e/o di governo dei Paesi dell’Unione europea per dire solennemente e tutti insieme ai Paesi e ai popoli dell’altra sponda che così non si va avanti perché si sta scherzando con il fuoco e, allo stesso tempo, che l’Europa, non il Fondo Monetario internazionale, con il suo bilancio e con i suoi soldi finanzia, non che è pronta a finanziare, il più gigantesco piano di investimenti della sua storia in Africa concentrando le risorse in capitale umano, sanità, digitalizzazione e infrastrutture. Aggiungendo che altrettanto deve fare l’Onu coinvolgendo le banche multilaterali di sviluppo avvertendo il peso politico dell’Europa che opera come soggetto unico e rendendosi conto che non può più rimanere inerme.
Perché ciò avvenisse ci vorrebbero gli Stati Uniti d’Europa che non esistono, ci vorrebbero uomini politici con la lungimiranza e l’intelligenza politica degli Adenauer, dei Schuman e dei De Gasperi del Dopoguerra che questa Europa avevano già in mente e che, sia pure solo con il concerto dei suoi grandi Stati, almeno il mercato unico lo hanno costruito. Oggi viceversa esiste l’Europa delle parole, non quella dei fatti. Per cui Macron apre alla Meloni e il suo ministro dell’Interno dice che lui arrivi da Lampedusa non li accetta. Per cui Ursula von der Leyen sposta di domenica la scaletta di viaggio per gli Stati Uniti e mette due ore prima una visita a Lampedusa dove fa il riassunto in dieci punti di tutto quello che si è già detto di fare, ma non si è mai fatto con aperture e chiusure tedesche che, come quelle francesi, si consumano in una stessa giornata.
Tutto questo accade perché siamo entrati nell’anno elettorale europeo e ognuno pensa più a eccitare le proprie opinioni pubbliche interne invece di fare il passo avanti obbligato verso l’Europa federale degli Stati. I quali, presi singolarmente, nella migliore delle ipotesi, sono perplessi e, nella peggiore, dichiaratamente ostili. Oggi la stessa Giorgia Meloni che aveva conquistato un credito politico in Europa, non riesce più a stabilizzarlo da quando si è rimessa in competizione con l’ala estremista leghista sempre in chiave di consenso. La stretta italiana sui flussi, sulle procedure di rimpatrio con trattenimento fino ai 18 mesi, sui trasferimenti non da un Paese all’altro ma da un territorio all’altro della stessa Sicilia, è puntualmente arrivata. Sui pattugliamenti nei territori di transito tocca all’Europa, su sollecitazione italiana, che ha promesso, ma non fa i conti con la realtà.
Quello che proprio non appare all’orizzonte e ammazza tutto è la volontà politica di un nuovo Delors che ponga al centro dell’azione non i muri e il balletto degli egoismi nazionali, ma la sfida capitale comune dell’integrazione che è fatta di maggiori sorveglianze ma anche di accoglienza e capitalizzazione della risorsa umana del mondo. Perché la sfida della integrazione non si vince se si fa in un modo o nell’altro, ma può diventare un grande sogno della grande politica che diventa realtà solo proprio se si fa bene in tutti e due i modi.
Vanno aiutati a casa loro anche se ciò richiede oggettivamente grandi risorse finanziarie e tempi lunghi, ma nel frattempo devi anche vedere come fare tutto il possibile per disinnescare la bomba degli arrivi dei clandestini in Italia e nei Paesi di approdo. Servono almeno tre decisioni immediate. 1) Non a parole deve essere chiaro a tutti che le rotte per venire in Europa sono le rotte legali; 2) Formare la gente che viene in Italia e, poi, in tutta Europa affinché viva una stagione di lavoro proficua per loro e per noi e poi torni a casa propria come accadde in epoche passate a molti italiani che emigrarono in Svizzera o in Francia, ma poi sono tornati a casa portando il valore dell’esperienza che avevano fatto; 3) Formare chi arriva secondo un programma di medio-lungo termine e, esattamente come è successo a tantissimi altri italiani emigrati in America, rimanere nei Paesi europei dove sono stati accolti contribuendo con il loro capitale umano alla crescita di quei Paesi alcuni dei quali, come l’Italia, afflitti peraltro da un grave problema demografico, ne hanno addirittura vitale bisogno se vogliono rimanere nel novero delle grandi economie europee.
Purtroppo, Ursula von der Leyen non può essere il nuovo Delors, ma marcia verso la riconferma e non lascia nulla di intentato perché ciò avvenga. Per la presidenza del Consiglio europeo il candidato più avanti di tutti è l’ex premier olandese, Mark Rutte, e non appare avere i requisiti per gestire un passaggio così epocale. Il nostro premier, Giorgia Meloni, è stato di sicuro quello che più di tutti ha anticipato il problema e, almeno a livello di intuizioni e impegni degli altri a parole, riceve seguito, ma purtroppo la percezione che si sta diffondendo all’estero è che l’Italia è un Paese spaccato, con una maggioranza non omogenea e un’opposizione confusa per cui alla fine la stessa leadership di governo italiana inevitabilmente ne risente indebolendosi.
Anche l’attesa che l’Europa riponeva su Macron è indebolita dalle contestazioni interne, dalla fragilità parlamentare del governo e da un dibattito pubblico che si è con larghissimo anticipo già spostato sulla sua successione. Si scommette su una vittoria laburista nel Regno Unito per farlo in qualche modo rientrare nel gioco europeo uscendo dal grande equivoco della Brexit che ha prodotto danni di non lieve conto. Sono comunque sempre speranze.
In mezzo a tanto sbandamento europeo con tutti dibattiti nazionali divisi e divisivi senza mai un respiro comune e una leadership politica che li sorregga, diventa perfino difficile portare avanti la proposta chiave di creare una rotazione e un flusso di immigrazione tra le sponde Sud e Nord mettendo insieme scuole tecnico-professionali e facendo l’Università del Mediterraneo che sono la proposta numero uno portata avanti da questo giornale con il suo Festival Euromediterraneo dell’economia e tutto quello che ne è disceso.
Senza l’Europa e l’Onu, senza due nuove governance per la prima e per il mondo, ognuno continua ad andare per sé ed alzare bandierine in casa propria a fini elettorali con rigurgiti razziali e ipocrite manifestazioni di buonismo. L’esatto contrario di quello che serve all’Europa e, a maggiore ragione, in casa nostra, che oggi non è un governo di solidarietà imposto dal Capo dello Stato come fu per Draghi, che fece comunque benissimo, ma sarebbe invece quello di un vero accordo politico tra due o tre grandi partiti che decidono di mettersi insieme per fare bene ciò che loro possono fare e chiedere all’Europa quello che l’Europa deve fare con maggiore forza e credibilità.
Ovviamente a questo non ci pensa nessuno e ogni giorno il rendimento del nostro titolo pubblico decennale (BTp) aumenta e ieri è balzato al 4,51% con lo spread a 180. Questo solo per dire che senza gli Stati Uniti d’Europa soffrono tutti i Paesi e la bomba sociale delle guerre e delle povertà del mondo deflagra ovunque. In Italia, però, questa bomba sociale diventa anche finanziaria e aumenta il cumulo delle macerie. Rischiamo di essere rasi al suolo. Forse, fermarsi un attimo prima tutti, proprio tutti, sospendendo questo doppio gioco del buonismo e del grido di allarme non è più una scelta di responsabilità necessaria, ma un obbligo etico, civile, economico e sociale, non più derogabile. Speriamo davvero che lo si capisca, perché non c’è più molto tempo prima che tutto deflagri spaventosamente.
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