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Raffaele Fitto

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Regioni e Ministeri recitino il rosario pubblico dei loro peccati capitali e dicano grazie a Fitto che prova a salvare loro e la crescita italiana

Adesso che si è esaurita la spinta del biennio magico di Draghi tenuta in vita dal governo Meloni e la Commissione certifica che Europa e Italia si avviano a tornare nello stagno della crescita dello zero virgola (nel 2023 loro 0,8, noi 0,9%; nel 2024 crollo italiano al + 0,8 dal +1,5% del Def) il nostro Paese continua a baloccarsi in polemiche quotidiane su Pnrr e dintorni ignorando che Regioni e Ministeri hanno mandato in fumo la bellezza di 80 miliardi di investimenti, cioè, spesa buona, crescita vera, lavoro vero, e pretendono pure di avere ancora voce in capitolo.

Visto che dal 2014 al 2020 tra programmi operativi regionali (Por) e programmi operativi nazionali (Pon) avremmo dovuto spendere 116,240 miliardi e a settembre del 2023, tre anni dopo l’ultima scadenza utile, ne abbiamo spesi solo poco più di 36 pari al 31,4% del totale. Facendo una semplice sottrazione: 116.240 milioni di euro meno 36.579 milioni di euro, abbiamo come risultato finale dell’operazione algebrica: 79.661 milioni di euro. Questo significa circa 80 miliardi di euro mandati in fumo.

Sono proprio quelli che il ministro Fitto sta cercando in ogni modo possibile di ridimensionare come perdita provandole davvero tutte con gli uffici della Commissione europea attraverso rivisitazioni e nuovi accordi per recuperarli. Siamo oltre ogni limite del senso del ridicolo.

Potremmo dire che siamo alla vergogna nazionale e che Regioni e Ministeri che la hanno prodotta dovrebbero recitare un rosario pubblico di redenzione dai loro peccati capitali e dire grazie al ministro Fitto che prova a salvare loro e la crescita italiana con il metodo del dialogo costante con le strutture europee e, soprattutto, con una proposta-verità che affronta il nodo strutturale degli investimenti pubblici in Italia. Affinché, peraltro, il disastro non si ripeta con la programmazione e la spesa di un altro grande impegno che è quello del Fondo di sviluppo e coesione 2021-2027 che vale 73,5 miliardi di euro. Dove siamo partiti con le stesse performance e la stessa testa del disastro richiamato prima.

Finché crescevamo alla grande, oltre undici punti di Pil, qualcosa di molto più del rimbalzo banalizzante dei nostri scienziati della rovina, ci si poteva ancora permettere di discettare dialetticamente di questa bomba atomica da disinnescare che vale da sola oltre cinque punti di crescita di Pil del solo Sud e può radere al suolo per sempre la credibilità internazionale dell’Italia intera, ma con le nuove previsioni che peggiorano il quadro del Pil italiano di un decimale quest’anno e di 6/7 decimali l’anno prossimo facendo mancare con una pressione fiscale al 45% da 1 a 6/7 miliardi di entrate, nessuno si può nemmeno lontanamente permettere – sceriffi più o meno teatrali, superburocrati eterni e ministri pro tempore – di imbastire le solite tavole di chiacchiere, sogni, promesse e annesse polemiche politiche strumentali.

Il circolo vizioso italiano che ha assunto ormai dimensioni patologiche è quello che ministeri e Regioni vogliono tutti solo i soldi. Vogliono che i soldi siano assegnati a loro e ovviamente un attimo dopo corrono a fare le dichiarazioni. Poi, passano due o tre anni da quelle assegnazioni e quelle dichiarazioni, e allora forse cominciano a programmare. Dopo dieci-quindici anni in molti casi non hanno né programmato né speso e, in altri, addirittura non hanno nemmeno i progetti.

Ora con il decreto Sud le parti si invertono. C’è lo strumento di programmazione nazionale, accordo di coesione, attraverso il quale lo Stato decide prima con loro, Regioni e Ministeri, missioni e priorità nell’impiego delle risorse e poi procede ai trasferimenti che sono a loro volta accompagnati da monitoraggio e, in caso di inadempienza, da definanziamento.

Il paradosso della situazione attuale è che la quota nazionale di cofinanziamento che va su questi fondi noi dobbiamo cacciarla comunque perché è computata in sede di contribuzione al bilancio europeo sulla quota che siamo tenuti a trasferire preventivamente in base al reddito nazionale lordo. La verità è che le Regioni, in modo particolare, ma anche molti ministeri, traducono la parola coesione come spesa corrente e non programmano e non fanno gli investimenti proprio perché vogliono usare quei soldi per il bonus trasporti o a sostegno degli amici degli amici.

Per questo vogliono i soldi loro e poi decidere loro come spenderli. Riuscendoci peraltro tardi e male senza quasi mai fare spesa in conto capitale. Continuano peraltro anche a fare i conti senza l’oste perché l’Europa che ci ha più volte richiamati, di questo circolo vizioso italiano non vuole più sentire neppure parlare. Preferisce riempire di soldi spagnoli e greci invece di sostenere il solito baraccone italiano.

Cerchiamo di farla finita una volta per tutte e ognuno si metta a remare nella stessa direzione. Né per i tempi né per contenuti, che hanno scadenze e paletti rigorosi, esiste un’alternativa praticabile alla effettiva attuazione del nuovo piano Fitto che mette insieme tutte le quattro gambe del tavolo di finanziamenti europei e nazionali. Questo tavolo non traballa solo se nessuna di queste gambe ha problemi. Chi pensa di continuare come prima sbaglia di grosso.


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