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Giovanni Toti

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«Il concerto per l’inaugurazione del nuovo ponte non l’abbiamo deciso in questa città, è un’iniziativa lodevole di una delle grandi aziende che ha costruito il ponte e voleva essere un regalo a Genova ma non abbiamo alcun interesse a fare qualcosa che non piaccia ai cittadini e a chi ha sofferto per il ponte se non lo faremo…», borbotta il governatore in una delle sue mille apparizioni in stile “guerrilla marketing”.

Nella Liguria a marcia padana il Ponte di Genova realizzato in un amen è l’esempio di come, in Italia, si possa saltare la burocrazia. E il governatore della Liguria Giovanni Toti, la cui stazza è inversamente proporzionale alle levità di pensieri, qui distilla un’opinione quasi banale: se, per una questione di delicatezza, i cittadini non volessero, lasciamo i festeggiamenti e torniamo a rimboccarci le maniche sulle Liguria protesa verso la stagione estiva, pronta alla Fase 3 post Covid.

Toti classe ’68, viareggino di nascita e milanese d’adozione, ex giornalista ceduto in comodato alla politica, è il governatore del nord che, mentre i colleghi si scannavano ogni giorno col governo centrale, sorrideva e, zitto zitto, apparecchiava il riscatto della regione. Non eludendo le norme, per carità, semmai interpretandole in modo “estensivo”.

Sicché è riuscito, al riparo delle polemiche a realizzare cose mai avresti detto: niente ticket per tutti i guariti dal Covid; accoglienza per tutti seppur con le dovute cautele (tipo un braccialetto che vibra se qualcuno ti si avvicina entro un metro); attenzione prima per le scuole che cadono in pezzi poi – solo poi – al plexiglass – ; quadruplicazione nei suoi ospedali delle terapie intensive da 50 a 210 (in proporzione più della Lombardia); riduzione dei ricoveri da 1300 a 500; aumenta de reparti Covid (“anche se ora non ne abbiamo bisogno”) a 1300 posti letto; accordi per il test sierologico con ditte private per farlo a prezzo calmierato ai lavoratori delle aziende; e allestimento di una mitragliatrice di tamponi che solo al San Martino di Genova arrivano a 3000 al giorno (“Anche se il tampone, oggi, è uno strumento spurio di lotta politica”).

Toti sta riattivando i polmoni dell’economia ligure con la tecnica democristiana, paracula ed efficacissima, del sussurro. Lo fa da sempre. Ricordo quando era direttore a Mediaset: tra un buffetto, una battuta, una smussata, l’uomo rendeva accettabili le sue decisioni anche per quei colleghi che -poco prima di soffocare nei suoi abbracci- ritenevano quelle stesse decisioni delle minchiate.

Ecco, Toti ha usato quest’understatement implacabile anche con Conte. Oggi mira alla rielezione, appoggiato in blocco da quel centrodestra che nel resto d’Italia viaggia abbastanza separato. Il suo modello rimane il suo Ponte Morandi: “Il Ponte è stato solo l’apice di un sistema virtuoso che ha dato le case agli sfollati in meno di due anni, ha costruito la nuova strada per il porto in meno di due mesi, risarcito imprese e cittadini in meno di un anno grazie al governo dell’epoca. Bisogna che Regioni e Comuni abbiano gli affidamenti diretti per fare velocemente le infrastrutture come negli anni 60”.

E’ legato a Salvini ma tiene stretti legami col Berlusca, gioca a carte con la Meloni ma ha ottimi rapporti anche con Bonaccini e il Pd. Afferma di rispettare scienziati ed epidemiologi ma li invita cortesemente a farsi da parte per lasciare il posto alla politica. E, non appena la politica si gira, eccolo che, tomo tomo cacchio cacchio, te lo ritrovi sulla poltrona…


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