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Una manifestazione contro l'Autonomia a Roma

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Giudici di pace sul piede di guerra per l’Autonomia; con le nuove norme c’è il pericolo di creare nel Paese una giustizia a due velocità


Si scrive autonomia differenziata. Si legge “caos”. In attesa che il Colle si pronunci sulla legge approvata il 19 giugno alla Camera – non si esclude una moral suasion del presidente Sergio Mattarella – si procede a fari spenti. Lombardia e Veneto si preparano a fare da apripista. I governatori delle due regioni, Attilio Fontana e Luca Zaia, hanno fretta: chiederanno al governo il trasferimento di alcune materie “concorrenti” che non richiedono in via preliminare la definizione e la quantificazione dei Lep. L’organizzazione della giustizia di pace è tra queste.

Ma come? E secondo quali criteri? E’ tutto da definire. L’unico elemento chiaro è che il legislatore regionale non potrà assumere nella sua competenze la disciplina della giurisdizione del giudice di pace, le norme processuali e dunque la disciplina relativa all’ordinamento penale e civile. Che cosa resterebbe a questo punto alle regioni? Non è chiaro. L’argomento è da tempo oggetto di dibattito. A spanne diremmo che per organizzazione si intende la presenza del giudice di pace nel territorio, l’ubicazione delle sedi e degli uffici; la definizione dei criteri di nomina dei giudici; la formazione e i tirocini. Atteso che fissare i principi cardine e assicurare l’indipendenza del giudice di pace resterà di esclusiva competenza dello Stato.

Siamo sicuri che, fatta la legge regionale, data attuazione all’autonomia differenziata, Stato e Regioni non si pesteranno i piedi? “Il rischio è una giustizia a più velocità a seconda delle regioni di appartenenza – è la risposta dell’avvocato Filippo Carusi, presidente della sezione di Roma dell’Associazione giovanile Forense – è assolutamente da evitare qualsiasi intervento legislativo che possa creare difformità nell’amministrazione della Giustizia nel nostro Paese”. “La Giustizia di prossimità – prosegue Carusi – è importantissima per il privato cittadino che deve potersi rivolgere al giudice di pace competente per territorio nello stesso modo, confidando negli stessi tempi di risposta”.

Che quando si parla di autonomia differenziata e di devoluzione ci si muova “in terre incognite” lo ha ammesso del resto lo stesso Sabino Cassese, il costituzionalista che ha guidato il Clep, il Comitato composto da 61 saggi chiamato a definire la natura civile e giuridica dei livelli essenziali delle prestazioni. Si è deciso così di escludere dalla determinazione dei Lep quelle materie che «non sono configurabili come prestazioni in favore dei cittadini, perché attengono a funzioni regolatorie e di controllo». Materie che, secondo il Clep, non hanno conseguenze dirette sui Lep. In tutto sono 9 sulle 23 che possono essere richieste perché di non assoluta competenza dello Stato. Tra queste, oltre all’organizzazione della Giustizia di pace; Previdenza integrativa; Ordini professionali: Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle regioni» e la Protezione civile.

Toccano interessi e ambiti diversi, tale da generare già i primi allarmi (i giudici di pace in Italia sono circa 2mila, per non parlare dei Vigili del fuoco e del personale della Protezione civile già sul piede di guerra). Per alcune di esse è sin troppo facile prevedere un contenzioso se non addirittura un braccio di ferro tra i ministri competenti che dovranno dare il loro parere sulla eventuale cessione e gli enti locali che ne faranno richiesta.
«La scarsa chiarezza, talvolta anche semplicemente linguistica, la frammentarietà degli interventi legislativi e la varietà delle pronunce della giurisprudenza, specie costituzionale, in tema di individuazione dei Lep determinano la difficoltà di operare una definizione completa, materia per materia, ambito per ambito, di ciascun livello essenziale delle prestazioni», ammise Cassese presentando la sua relazione di 140 pagine. Eppure, in questa nebulosa legislativa, si è scelto di andare avanti. Per ragioni di opportunità e calcoli di partito, si è andato avanti. Ed ecco che ora, uno ad uno, i problemi arrivano al pettine.

Ma torniamo al tema iniziale, la disciplina dell’organizzazione della giustizia di pace, dovranno essere risolti vari problemi di natura interpretativa, giacché la devoluzione possibile in base all’art. 116, comma 3, della Costituzione non può essere limitata alla logistica e all’arredo degli uffici. Chi nominerà i giudici di pace? Il procedimento di selezione verrà devoluto alle Regioni oppure verrà considerato a tutti gli effetti parte della funzione giurisdizionale e non sarà ammessa nessuna interferenza degli enti locali?

In questo ginepraio l’autonomia differenziata rischia di scontrarsi con un’altra autonomia,il principio di indipendenza della Magistratura. All’indomani della revisione del Titolo V in alcune regioni a Statuto speciale, ad esempio in Sicilia, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti vengono integrate da “due componenti designati dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali”.

“Abbiamo grande fiducia nell’ operato del governo – smorza i toni Edoardo Contento, giudici di pace e referente di sezione a Roma – l’importante è affermare un principio di uniformità”. “E pur ritenendo – conclude il giudice Contento – parzialmente fondati i timori di molti colleghi, aspetto di conoscere il testo attuativo sapendo che qualsiasi norma può essere emendata. Il nostro unico Vangelo era e rimane la Cassazione a sezioni riunite”.


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